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Nucleare Giappone, cinquanta pronti al sacrificio

Chi può, torna nel suo paese di origine. Chi può, prende il primo volo disponibile per una qualsiasi destinazione. Altri scappano verso il sud del paese. Altri ancora, come gli operai della ‘Tepco’, vengono fatti evacuare dalla centrale di Fukushima I. Troppo alto il livello di radiazioni, troppo rischioso rimanere vicino i sei reattori fuori […]


Chi può, torna nel suo paese di origine. Chi può, prende il primo volo disponibile per una qualsiasi destinazione. Altri scappano verso il sud del paese. Altri ancora, come gli operai della ‘Tepco’, vengono fatti evacuare dalla centrale di Fukushima I. Troppo alto il livello di radiazioni, troppo rischioso rimanere vicino i sei reattori fuori controllo. Tutti vanno via. Meno che quei cinquanta volontari pronti all’estremo sacrificio, per salvare amici, parenti, o magari il Giappone intero. Cinquanta, cinquanta uomini, cento braccia che si caricheranno il lavoro che fino a ieri era sostenuto dalle spalle di ottocento operai. Toccherà a loro raffreddare il più possibile le barre di combustibile nucleare dei reattori, evitare altri scoppi, o peggio, che avvenga una fusione. Cinquanta operai, o cinquanta eroi.

Per loro fa ben poca differenza. Hanno altro a cui pensare. I turni sono massacranti, non si riesce a vedere la fine di quest’incubo, senza contare la continua esposizione alle radiazioni, che in alcuni momenti, superano, e di parecchio, i livelli di sicurezza.

Purtroppo la situazione pare fuori controllo, per ogni buona notizia ne arrivano due cattive. Come ieri mattina, quando si è annunciato che i reattori 1 e 3 erano stati spenti e con il raffreddamento degli elementi di combustione in funzione. Subito dopo però arriva l’esplosione del reattore numero 2 e l’incendio del numero 4. Attimi di caos, attimi di paura, attimi di sconforto. Anche perché quando i nostri ‘50’ alzano gli occhi al cielo capiscono che la situazione continua a peggiorare. Si prega per un po’ di sole e invece continuano imperterrite pioggia e neve. Tutti i fumi tossici e le radiazioni che si sarebbero potuti disperdere nell’atmosfera ricadono inesorabilmente al suolo con i rovesci temporaleschi. Senza considerare poi che le condizioni meteo impediscono anche l’intervento dei soccorsi in elicottero e che le scosse di assestamento non accennano a diminuire. Notizie non belle, che portano angoscia nei cuori nipponici. Un’angoscia che è facile da leggere nelle parole del primo ministro Naoto Kan: “il pericolo di ulteriori perdite radioattive è in aumento”. E in quelle del suo vice: “contrariamente a quello che è successo finora, non vi è dubbio che i livelli attuali (di radiazione ndr) possano incidere sulla salute umana”.

Una situazione tragica dunque. Seconda solo a quella di Cernobil, che sconvolse l’Europa nel 1986. La stessa Europa che oggi si interroga sulla salute e stabilità delle proprie centrali. E la domanda sorge spontanea, bisogna sempre aspettare un disastro per prendere atto di una situazione pericolosa? Dopo l’Aquila abbiamo messo in sicurezza mezzo Abruzzo, dopo le alluvioni di Sarno nel 1998 abbiamo cambiato i piani regolatori per la costruzione, ora forse si riaprirà il dibattito sul nucleare, anche perché la votazione tramite referendum è alle porte. Ma non sarebbe bello almeno per una volta prendere in considerazione il sostantivo ‘prevenzione’? Ma ora, come al solito, non ci rimane che aspettare. Aspettare che tutto questo finisca e nel frattempo fare il tifo per i nostri ‘50’.

Fabio Sciulli



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