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Sanremo 2018, Favino blocca tutti con il monologo La notte poco prima della foresta (Foto e Testo)

Pierfrancesco Favino ci porta alle lacrime con il monologo di Koltès il palco di Sanremo 2018 (foto e testo)


Pierfrancesco Favino ha dato tutto se stesso sul palco dell’Ariston, è tra i vincitori del festival di Sanremo ma è quando ha recitato il monologo La notte poco prima della foresta di Koltès che ha bloccato tutti. Dalla platea dell’Ariston al pubblico da casa, Favino non è solo riuscito a stregarci con la sua nota bravura di attore ma ci ha fatto riflettere, ci ha emozionato, ci ha portato alle lacrime, ci ha mostrato l’altra faccia degli immigrati, quella che non vogliamo vedere. Favino spezza il cuore e con coraggio porta il monologo che adora davanti a milioni di telespettatori. L’attore è legato al testo del drammaturgo e regista francese Bernard-Marie Koltès, è un atto unico su cui ha lavorato, l’ha già recitato all’Ambra Jovinelli di Roma a gennaio. Favino impone il monologo contro il razzismo, un testo che adora: “perché Koltès sceglie di non dare risposte e le sue parole creano immagini, emozioni… direi che è più vicino alla musica. Racconta una storia che riguarda tutti, il bisogno estremo degli altri, dello stare insieme e, al tempo stesso, l’insofferenza dello stare insieme”.

Ben oltre il razzismo, ben oltre le lacrime, quando Favino si alza dalla sedia sul palco vuoto e con gli occhi lucidi ci lascia immaginare quell’uomo che nessuno vuole. Tutti applaudono Pierfrancesco favino ma c’è chi non si è emozionato, non è riuscito ad andare oltre e ha definito penoso il momento più emozionante di Sanremo 2018.

Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio

quando mi viene di dirti quello che ti devo dire, stare bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così

che uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.

Allora ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.

Ma qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti salutano.

Ti dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là

vai laggiù, leva il culo da là

e tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,

sempre da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,

non c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è

il tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.

A calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino in Nicaragua.

Se vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti saluto’

tanto che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,

sempre di più di quello in cui vado a stare.

Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo

là dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.

E quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo

quando ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.

Fermiamoci una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’

io non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire

se ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo

che tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua

che ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri

ma che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo dire

allora sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.

Io mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’

finché non ve ne frega un cazzo di me.

A che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù

se da tutte le parti la stessa storia.

Quando ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che sbarcano qua

per trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.

Io sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro

Laggiù c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di una foresta

gli portano da mangiare perché non si deve spostare

che spara su tutto quello che si muove

gli portano le munizioni quando non ce ne ha più.

Mi parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta

tutto quello che si muove diventa un bersaglio

tutto quello che compare al bordo della foresta

tutto quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi

e che non si muove allo stesso modo

Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa

più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero

loro finiscono qua e io finirò laggiù

laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne

Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro

se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più

Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba

l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.

Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,

ti devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così

almeno ti avrò detto quello che ti devo dire.



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