Politica

No del Quirinale al rimpasto, si spacca la maggioranza

Sembra proprio che il governo non possa avere pace. Dopo la tanto decantata coesione della maggioranza, scaturita dall’uscita di scena di Fini e dei suoi, sembra che le divisioni all’interno della maggioranza siano sempre più evidenti. Non bastava Scajola, che critica il Pdl e reclama un ruolo di primo piano, ora ci si mette anche […]


Sembra proprio che il governo non possa avere pace. Dopo la tanto decantata coesione della maggioranza, scaturita dall’uscita di scena di Fini e dei suoi, sembra che le divisioni all’interno della maggioranza siano sempre più evidenti. Non bastava Scajola, che critica il Pdl e reclama un ruolo di primo piano, ora ci si mette anche il Presidente Napolitano ad intralciare i piani di Berlusconi di consolidamento della maggioranza. L’incontro di ieri al Quirinale, cui ha partecipato anche Gianni Letta, non è stato fruttuoso ai fini di un rimpasto di governo, molto pubblicizzato dal Premier.

Il piano era di sostituire due ministri, Galan ai Beni culturali, e Saverio Romano all’Agricoltura, più tutta una serie di sottosegretari. Un rimpasto che deriva dalla necessità di premiare coloro i quali si sono dimostrati “fedeli” e hanno votato la fiducia al governo nel momento di estremo bisogno, il 14 dicembre scorso.

Tuttavia, questo nuovo rinvio sembra aver alterato gli animi di coloro che aspettano la loro ricompensa, Gruppo dei Responsabili, di cui fanno parte i Popolari per l’Italia di domani (di cui Romano è segretario). Insomma chi ha dato prova di fedeltà ora reclama quanto (promesso?) gli spetta.

Il no di Napolitano non è “fazioso”, come potrebbe pensare qualcuno, ma deriva da una legge, la Bassanini, che pone un limite massimo per la composizione del governo.

Berlusconi ha provato a spiegare che il rimpasto si farà, ma pare che i Responsabili abbiano perso la pazienza, tant’è che i cinque del Pid hanno disertato il voto sulla mozione dell’opposizione per accorpare i referendum con le amministrative. La maggioranza si è salvata solo grazie al voto del “dissidente” Beltrandi del Partito Radicale.

Giuseppe Procida



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