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Seid Visin si è suicidato: odio e razzismo impossibili da sconfiggere

Tutta la sofferenza di Seid nella lettera scritta prima di suicidarsi: razzismo e odio impossibili da sconfiggere


Seid Visin
si è tolto la vita. Troppo stanco di combattere una battaglia che non lo stava portando da nessuna parte, deluso da tutti ma forse soprattutto da quell’Italia che è stata la sua casa, che è stato il suo paese. Un luogo che però non lo faceva sentire accolto, eppure Seid in Italia c’è cresciuto, essendo stato adottato quando era molto piccolo. Ma il colore della sua pelle arrivava prima del dato anagrafico. Seid non è morto per un malore, ma ha scelto di togliersi la vita per il clima di razzismo che respirava in Italia. Lo si capisce molto bene dalle parole che il giovane ha lasciato in una lettera che è stata pubblicata oggi e che ha fatto il giro di tutte le testate nazionali; il 20enne calciatore di origine etiope adottato da bambino da una coppia di Nocera Inferiore (in provincia di Salerno) che aveva militato nelle giovanili del Milan e del Benevento ha raccontato tutto il suo disagio, se così possiamo definirlo nella lunga lettera con la quale prova a spiegare perchè si decide a 20 anni di morire, lasciando tutto.

Seid aveva 20 anni e qualche mese fa, quando forse aveva già maturato la sua decisione, aveva scritto questa lettera.

Le ultime parole di Seid nella lettera pubblicata da Mamme per la pelle

Inizia con queste parole la lettera che Seid aveva scritto qualche tempo fa:

Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione.
Io non sono un immigrato.
Sono stato adottato quando ero piccolo.
Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera. Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone.


Tutte le difficoltà incontrate dal ragazzo:

Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro.
Dopo questa esperienza dentro di me é cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco.
Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura.

E ancora:

La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano “Capitano Salvini”. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ”Casa Pound”.
L’altro giorno, mi raccontava un amico, anch’egli adottato, che un po’ di tempo fa mentre giocava a calcio felice e spensierato con i suoi amici, delle signore si sono avvicinate a lui dicendogli: ”goditi questo tuo tempo, perché tra un po’ verranno a prenderti per riportarti al tuo paese”.

E chiude:

Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.

Ricordando che questa lettera era stata scritta diverso tempo fa, riportiamo anche le dichiarazioni del padre di Seid all’Ansa: “Mio figlio non si è ammazzato perché vittima di razzismo. E’ sempre stato amato e benvoluto, stamane la chiesa per i suoi funerali era gremita di giovani e famiglie“. Lo dice all’ANSA Walter Visin, padre adottivo dell’ex calciatore Seid.

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