News Cinema

Io capitano: perchè vedere il film candidato all’Oscar

Io capitano è il film italiano candidato all'Oscar come miglior film straniero: stanotte il verdetto. Se non lo aveva ancora visto, vi spieghiamo perchè vedere la pellicola diretta da Matteo Garrone

io capitano

Stanotte scopriremo se Io Capitano avrà meritato la statuetta come miglior film straniero oppure no. E’ la notte degli Oscar 2024 e il film di Matteo Garrone è nella cinquina finale. La pellicola, conquisterà l’Oscar? Fare previsioni non è semplice ma nell’attesa di scoprire se il film regalerà all’Italia una nuova statuetta come miglior film straniero, possiamo dirvi perchè questo film merita di essere visto.

Io capitano: perchè vedere il film di Matteo Garrone

Quando vediamo le immagini degli sbarchi a Lampedusa, delle immagini delle barche in mare, di quello che poi succede nei centri di assistenza, spesso riflettiamo nel modo sbagliato su quello che sta accadendo. E ci chiediamo: perchè sono partiti, che cosa si aspettavano da quel viaggio, perchè lo fanno. Pensiamo che in Africa tutti siano ben informati di quello che succederà prima dopo e durante il viaggio. E invece Matteo Garrone ci regala un punto di vista diverso, quello di chi parte. Chi parte, non sa nulla. Non sa quanto dista l’Italia, non sa cosa lo aspetta, non sa quanti soldi spenderà.

Chi parte dell’Africa ha visto qualche video sui social, vede giovani ragazzi vestiti con abiti firmati, ascolta le canzoni di qualche rapper, ha sentito un amico che ce l’ha fatta non ma non ha forse raccontato come. E poi ci sono gli adulti, quelli che sanno cosa accadrà, che ci provano a mettere in guardia i loro figli. Ma come possono fare di fronte a sogni, speranze, illusioni? E’ questa la storia di Seydou e Moussa, due senegalesi adolescenti, che improvvisamente, senza dire nulla alle loro famiglie, lasciano Dakar per raggiungere l’Italia e sfuggire alla miseria. Hanno un sogno: sfondare con la loro musica, arrivare in Europa e trovare il successo per cambiare poi le cose anche in Africa. Qualcuno guardando Io capitano potrebbe dire: eppure lì avevano una famiglia, un tetto, persino un lavoro. E allora, perchè cercare altrove qualcosa che difficilmente arriverà? E’ la domanda più difficile alla quale dare risposta. Io capitano ci racconta, e ci mostra, che spesso sono ignoranza e speranza a muovere tutto.

La non conoscenza di quello che li attende, la speranza di cambiare.

E coì i due giovani protagonisti di Io capitano, transitano attraverso il Mali muniti di falso passaporto e, benché la truffa venga scoperta da un poliziotto, evitano la prigione in cambio di denaro. Giunti in Niger, affrontano il deserto sino all’ingresso in Libia, dove vengono arrestati e condotti in centri di detenzione separati. Seydou viene sottoposto a tortura ma riesce a uscire, in quanto un altro detenuto lo spinge a offrirsi al pari di lui come muratore. Raccontata così questa storia, sembra anche più semplice di quello che è stato. Ma in realtà i due ragazzi perderanno tutto e si perderanno. Botte, minacce, orrori visti con i proprio occhi. Seydou ha quasi perso la vita. E’ stato salvato da persone come lui, ha visto la morte, ne ha sentito l’odore. Seydou lavorerà per mesi con un nuovo amico, che diventerà per lui come un padre e non perderà mai la speranza di raggiungere l’Italia, ma soprattutto di ritrovare suo cugino.

Il viaggio, dopo il lavoro come muratore, continuerà per Tripoli. Nella capitale libica Seydou ritrova Moussa, ma purtroppo il ragazzo è ferito in modo grave. I nuovi amici di Seydou lo aiutano ma c’è bisogno di un ospedale e in Libia, non curano quelli come loro. Quando si rivolgono a un faccendiere, Ahmed, che organizza le traversate nel mar Mediterraneo, non avendo abbastanza denaro, si vedono offrire un’unica possibilità: Seydou dovrà guidare la barca. Non lo ha mai fatto prima, non ha idea di come si faccia, non sa neppure dove sia l’Italia. Ma per l’ennesima volta l’ignoranza, la non conoscenza, è protagonista. Gli dicono che in poche ore sarà in Italia, che dovrà andare sempre dritto. Come quando gli avevano mostrato le foto delle barche su cui avrebbe raggiunto l’Italia, uno yatch a 5 stelle. Peccato che non ci sia mai stata quella barca. Come non c’è chiaramente la possibilità di toccare le coste della Sicilia in poche ore, ma questo i due giovani senegalesi non lo possono sapere.

Ed è questo il senso di Io capitano, raccontarci da un altro punto di vista, un viaggio, il viaggio della speranza. Molto diverso da quello che un tempo faceva chi dall’Italia partiva per l’America. Quando lavoro c’è davvero per chi scappa dalla povertà, dalla guerra, da un paese che non offrirà mai nulla? Quante persone riescono davvero a riscattarsi? Quante persone non riescono neppure a superare il deserto? La riflessione che Matteo Garrone ci invita a fare è importante, per non girarci dall’altra parte, per provare la giusta empatia per chi non sapeva, per chi ci ha creduto, per chi ha lottato per un ideale. Noi che in Italia e in Europa ci viviamo, e non vediamo tutto attraverso lo schermo di un cellulare, sappiamo bene quello che succederà a chi sogna qualcosa che difficilmente otterrà. Ma non possiamo togliere i sogni a nessuno.

Seguici

Seguici su

Google News Logo
Ricevi le nostre notizie da Google News

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.