Attualità Italiana

Difficile esser donna, in Calabria come nel resto d’Italia

Essere donna in Calabria è davvero diverso da esserlo nel resto d'Italia? Ecco la nostra riflessione


Oggi va di moda scrivere parlando della morte di una ragazza, cosa voglia dire essere donna in Calabria. Un pensiero per Fabiana che non c’è più a causa della crudeltà della persona che amava, non farò più il suo nome, perchè merita rispetto e merita di riposare in pace. Ho letto di tutto, di quanto le donne in Calabria vivano una condizione difficile e di come non vedano l’ora di andare via, di come non abbiano diritto di parola, di scelta o di altro. Il punto di partenza che ci vuole distinguere dagli altri è quello che, detto banalmente, non di tutta un’erba si deve fare un fascio. Lo dice una ragazza di 26 anni che in Calabria ci è nata e cresciuta e che poi come la persona che ha scritto una lettera per il Corriere ha lasciato la sua terra. Perchè non poteva parlare? No semplicemente perchè le università non funzionano, perchè non ci sono sedi di giornali, perchè non c’è lavoro, perchè se vuoi sognare di fare la giornalista da grande devi fare la valigia per Roma o per Milano. E specifico subito la questione università: non che la Sapienza con i suoi posti sul pavimento abbia qualcosa in più ma il nome sul curriculum fa il suo effetto. Digressione a parte, ho letto che le mamme comandano, che sperano che le loro figlie vadano via, che sperano e sognano un futuro migliore per loro. Non mi ero mai accorta che mia madre in 26 anni di vita volesse che io andassi via e scappassi eppure sono cresciuta in un paesino di 1000 abitanti, tra le montagne, come dicevano i miei amici del liceo. Il sogno di mia mamma forse era un altro: quello che io andassi fuori, studiassi e facessi qualcosa per la mia terra, che tornassi. Ma non che fuggissi. Oggi tutti dipingono la Calabria come il bosco in cui le fanciulle vengono inseguite dall’orco cattivo, un orco che le violenta, le costringe in casa, non vuole che studino e si potrebbe continuare. La domanda è: questo avviene solo in Calabria? Questo, è lo specchio, della condizione in cui le donne si trovano in Calabria, come in Italia come nel mondo intero. E noi siamo quel paese che sbatte in prima pagina i casi in cui le donne musulmane vengono bruciate con l’acido, vengono mutilate, ci indignamo per questo ma dimentichiamo che da noi succedono cose peggiori. Si, siamo il paese che guarda al mondo intero e poi punta il dito contro le piccole realtà, come se in città grandi le cose fossero diverse. Siamo un paese che ha la memoria corta, che dimentica presto come spesso le famiglie per bene che vivono nelle villette con giardino e maggiordomo abbiano ancora più problemi. Siamo un paese in cui è comodo dire, e già in Calabria succedono ancora queste cose. Cosa succede? Che un ragazzino violento si scagli con ferocia contro la bambina che amava? E’ successo questo, cosa c’entrano paroloni come la discriminazione, l’indignazione, la donna che non parla? E cito Fabiana e la sua famiglia solo come esempio: lei aveva parlato, suo padre aveva parlato, la sua famiglia l’aveva difesa. Perchè non ci indignamo invece per il fatto che nessuno abbia fatto nulla per proteggere questa ragazza? Chissà se il papà della ragazza si è sentito dire da qualcuno “ma sono cose tra fidanzati, non ci immischiamo”. E sapete la triste storia qual è? Che se questo padre avesse fatto qualcosa, con le sue mani per difendere sua figlia forse si sarebbe detto “ecco il solito padre calabrese geloso che non permette alla figlia di vivere il suo amore“. Già perchè puntare il dito è sempre semplice ma la soluzione non è scappare. E’ parlare come faccio io oggi da Calabrese sulla tastiera di un pc ma come avrei fatto nel bar del mio paese, che assicuro, non è frequentato solo da gente anziana.

Chiedo scusa alla famiglia di Fabiana, chiedo scusa alle mamme calabresi che oggi hanno dovuto leggere cose vergognose e mi vergogn invece di aver letto cose vere. Già perchè in quell’erba del fascio ci sono anche padri orchi, matrone, c’è arretatrezza mentale. C’è in Calabria come c’è altrove, è questa l’unica differenza.

 



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2 responses to “Difficile esser donna, in Calabria come nel resto d’Italia

  1. Mi associo al pensiero del mio direttore, Filomena, e come lei anch’io ho lasciato la mia terra con tanta nostalgia nel cuore, non con la voglia di scappare. In Calabria si cresce bene, c’e’ il mare, ci sono i monti, ci sono i veri valori…quelli che ti fanno fare 500 km appena hai un attimo per correre a casa ad abbracciare mamma e papa’. I papa’ calabresi sono meravigliosi, adorano le loro figlie e sono contenti se loro sono contente, anche se questo significa saperle dall’altro capo del mondo con chi sa quale uomo accanto. Finiamola con i soliti pregiudizi, mettiamoci una mano sulla coscienza e guardiamoci attorno, le situazioni drammatiche stanno accadendo al nord come al sud. Io amo la Calabria e sono fiera di essere di questa terra. Ciao Fabiana.

  2. Allego il commento di una mia compagna di classe, nonchè amica, nonchè calabrese come me…

    Non ci sto. Non più.
    Credo che oggi tutti quanti abbiamo perso un’occasione per stare zitti. Sono una ragazza di 26 anni, perfortuna o purtroppo Calabrese, della provincia di Catanzaro, anch’io contribuisco a fare numero nelle statistiche sulla fuga di cervelli, studio in una cittadina del centro italia dove oramai risiedo da circa sei anni.
    Per indole leggo piuttosto che scrivere, penso piuttosto che parlare, pratico il silenzio piuttosto che il rumore… ma ora non posso stare zitta per almeno tre ragioni:
    uno, ne ho sentite tante
    due sono DONNA,
    in ultimo e non per ultimo, credo di saperne sull’argomento e non perchè calabrese ma perchè da qualche tempo per ragioni di studio, mi occupo di violenza di genere, femminicidio e violenza domestica.
    Mi sforzo di capire chi vuole dare una connotazione regionale e culturale al fatto di cronaca di queste ultime ore, un pò perchè anche io ogni volta che al tg succede qualche grave fatto di cronaca spero che l’autore non sia calabrese, l’ho sperato anche quella domenica mattina quando qualcuno sparò davanti a palazzo chigi, immaginando già la valanga di ipotesi e stereotipi che gli italiani avrebbero rovesciato sulla solita calabria, terra ostile x molti alle aperture mentali. ora però mi sento quasi in dovere di parlare.
    è un fatto incontestabile che la violenza di genere non conosce latitudini, classe sociale, culture, così come oramai da anni ci informa la letteratura di riferimento.
    La storia di Fabiana non è la storia di una calabrese uccisa da un calabrese, mi dispiace riconoscere che molti si ostinano a non considerarla la storia di una donna, l’ennesima, uccisa da un uomo (ragazzo o che dir si voglia).
    In italia, dalle Alpi sino a Scilla, ogni giorno muoiono almeno due donne per mano dei loro compagni. questa è l’unica verità. questo l’unico dato su cui riflettere. poco c’entrano cli accenti, e i luoghi, ancora meno l’essere calabrese.
    conosco, per averli vissuti sulla pelle,tutti i difetti della mia terra e tutti gli orrori che partorisce, alcuni li riconosco in me,ma non ho lasciato casa mia per paura che qualche fidanzato potesse bruciarmi viva, o perchè succube di un padre orco e di una madre connivente. sono andata via, non sono scappata, per crescere, per arricchirmi, per fare il mio piccolo “erasmus” in Italia, probabilmente diventerò una calabrese migliore o forse no.a me basterebbe riuscire ad educare mio figlio, se mai ne avrò uno, al rispetto dell’altro sesso,al non esercizio della violenza in ogni sua forma.
    è senza altro vero che la violenza di genere, e la violenza domestica in calabria si intrecciano ad altri fattori culturali che rendono il fenomeno ancora più drammatico che al nord d’italia, ma la storia di Fabiana non deve essere l’ennesimo input per dipingere o ridipingere il quadro del pananorama culturale calabrese. è un’altra storia, è come tale merita di essere analizzata.
    Caterina Frustaci

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