Dal Mondo

Kiev, proseguono le proteste contro il presidente Yanukovich

Una nuova manifestazione è stata indetta per oggi. Intanto, il ministro degli Interni Zakharchenko fa sapere che la polizia è pronta a intervenire nel caso di appelli a disordini di massa: "Non possiamo finire come in Tunisia o Libia"


La violenza della notte precedente da parte degli agenti della polizia non li ha demotivati, anzi, se possibile, li ha convinti a perseverare nelle proteste occupando la piazza principale di Kiev, quella che nove anni fa fece da teatro alla Rivoluzione arancione.
Le manifestazioni di dissenso sono rivolte tutte contro il presidente ucraino Viktor Yanukovich e la sua decisione di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea. Yanukovich, da sempre filo-russo, è tornato nel mirino dei manifestanti che adesso vogliono a gran voce nuove elezioni e l’avvio di un procedimento di impeachment per il presidente.
Nonostante le rassicurazioni di Yanukovich sulla volontà di fare luce su eventuali abusi da parte della polizia la notte scorsa, quando i manifestanti vennero attaccati e inseguiti anche nelle vie che circondano la piazza, le proteste non si fermeranno. Una nuova manifestazione, infatti, è stata convocata per oggi e gli organizzatori puntano a riunire ancora più gente di quella scesa in piazza nei giorni passati.
Nel frattempo, la tensione all’intern dei palazzi governativi rimane molto alta. Il ministro degli Interni Vitaly Zakharchenko ha assicurato che se verranno fatti “appelli a disordini di massa” la polizia sarà pronta per reagire. Zakharchenko in una dichiarazione pubblica ha chiesto ai presenti: “Vogliamo finire come in Libia o in Tunisia?
A partecipare alle proteste, intanto, sono state anche alcune giovani attiviste del gruppo femminista «Femen».
Le ragazze, come di consueto, hanno protestato a seno nudo all’interno del territorio della Pecherska Lavra – un antico monastero medievale dalle cupole dorate che è uno dei simboli di Kiev. Anche in questo caso, tra le richieste, vi è stata quella delle dimissioni del presidente Viktor Ianukovich al grido di “morte alla dittatura“.

 

 



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