Dal Mondo

Pedofilia: l’Onu “processa” il Vaticano

Il tema della pedofilia torna alla ribalta. La Chiesa è chiamata a rispondere oggi alle Nazioni Unite ma verranno forse ribaditi concetti già noti: "Non siamo competenti sui casi nazionali"


Da primo imputato a esempio alla lotta contro gli abusi su minori? Il Vaticano sembra aver intrapreso la retta via verso la redenzione. Saranno stati forse i moniti di Papa Francesco I o le domande formulate per iscritto nei mesi passati dalle Nazioni Unite sulla Convenzioni per il diritto del fanciullo a far riflettere la Santa Sede?

Proprio oggi, infatti, è stato presentato dal Monsignor Silvano Tomasi (nella foto) il rapporto per la Convention of the Rights of the Child inerente i casi di pedofilia e maltrattamento su minori nella Chiesa spagnola, in quella Irlandese e non ultima in quella Messicana, la maggior imputata dopo i raccapriccianti avvenimenti legati al Legionare di Cristo Marcial Maciel.
Tomasi, rappresentante della Santa Sede all’Onu ha ricordato gli strumenti approvati dal Vaticano negli ultimi anni proprio per far fronte a questo tipo di problematiche: “Non esistono giustificazioni per alcuna forma di violenza sui minori e la Chiesa è ansiosa di diventare un esempio di migliori pratiche in questa importante impresa”. Il nuovo Pontefice ha di fatti istituito nel dicembre scorso una commissione ad hoc per la prevenzione della pedofilia nel clero.

È importante ricordare che la Convenzione di cui stiamo parlando è stata sottoscritta dalla Santa Sede nel lontano 1990 e che, nel 2001 sono stati firmati altri due protocolli opzionali. Nel dicembre scorso, dopo aver ricevuto le scottanti domande dell’Onu in forma scritta, la Chiesa ha inviato a Ginevra la risposte, con la premessa che vescovi ed alti prelati di altre istituzioni cattoliche in giro per il mondo non sono delegati diretti del Papa. La cosa, chiaramente ha suscitato numerose polemiche.

Qualcosa di concreto – Nel corso dell’audizione di questa mattina, in cui Monisgnor Tomasi dovrà inoltre ribadire le risposte che negli scorsi mesi sono pervenute alle Nazioni Unite, è stato sottolineato che un cittadino dello Stato del Vaticano, il polacco Jozef Wesolowski, ex nunzio apostolico della Repubblica Domenicana, è stato messo sotto indagine e richiamato a Roma. Wesolowski verrà processato canonicamente dalla Congregazione della Dottrina della fede e penalmente dal tribunale vaticano. È forse un modo per dire “in casa nostra i panni sporchi vengono lavati”, giustificando l’impossibilità di agire nelle altre istituzioni cattoliche del mondo? Ci chiediamo allora chi debba intervenire in altre “Sedi”.

L’elenco dei casi di pedofilia, paese per paese, è interminabile. In Brasile, per esempio, circa 1700 preti sono stati coinvolti in casi di cattiva condotta sessuale tra cui violenze e abusi su minori. In Australia si registrano 107 casi di condanne. Altri fenomeni simili sono confermati in Francia, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Canada e negli Stati Uniti. Anche in Italia, come sappiamo, i casi di pedofilia legati alla Chiesa sono molteplici. Come dimenticare Don Ruggiero Conti parroco della parrocchia di Selva Candida a Roma, artefice di abusi sessuali nei confronti di 7 minori nel 2001 (condannato a 15 anni e 6 mesi). E che dire poi del caso Bertagna, ex abate di Farneta in Arezzo, reo confesso. Carnefice di 38 minori dagli 8 ai 15 anni (condannato a 8 anni per 16 dei 38 abusi confessati). La lista è lunghissima e speriamo vivamente che non solo la Santa Sede divenga l’esempio per limitare questo terribile fenomeno, ma che l’Onu, al termine di questa conferenza, possa esortare la Chiesa ad intervenire anche laddove pensa di non poterlo fare. Le parole (o gli scritti) di monsignor Tomasi lasciano perplessi: intervenire solo sui cittadini dello Stato della Città del Vaticano è pura follia.



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