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Sigmund Freud: Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio

Un autore che ci ha aiutato tantissimo a capire i meccanismi alla base dell’umorismo e più in generale del comico, è certamente Sigmund Freud. Il grande psicanalista pubblicò Il motti di spirito e la sua relazione con l’inconscio nel 1905, anno in cui terminò di scrivere anche Tre saggi sulla teoria sessuale. L’edizione del 1905 […]

Un autore che ci ha aiutato tantissimo a capire i meccanismi alla base dell’umorismo e più in generale del comico, è certamente Sigmund Freud. Il grande psicanalista pubblicò Il motti di spirito e la sua relazione con l’inconscio nel 1905, anno in cui terminò di scrivere anche Tre saggi sulla teoria sessuale.

L’edizione del 1905 fu seguita da quella del 1912, che presentò pochissime aggiunte. Le successive pubblicazioni (1921 e 1925) non subirono praticamente modifiche.

L’opera fu accolta con una certa indifferenza sia dalla critica, sia dal pubblico dei semplici lettori. Ciò può essere legato al fatto che, nel momento in cui un motto di spirito viene analizzato per svelarne la tecnica, l’effetto della battuta ha grosse probabilità di svanire. Analizzare un motto vuole dire, in pratica, annullarlo. L’opera di Freud ha dunque un significato puramente tecnico: può essere utile, anche oggi, a specialisti di vari settori (psicologia, psichiatria, teatro, pedagogia…), ma non si rivolge certo a un pubblico che voglia farsi quattro risate.

Nel saggio, Freud sostiene che per potere apprezzare un motto di spirito – per considerare, cioè, una storiella spiritosa – occorre che ci sia sintonia tra chi conia il motto, chi lo racconta (ma le due persone possono anche coincidere) e infine chi ascolta. Condizione fondamentale è l’appartenenza allo stesso mondo culturale e una buona conoscenza della stessa lingua.  Per questi motivi la lettura de Il motto di spirito è operazione assai faticosa e tutt’altro che divertente.

Freud spiega perché questo argomento è senza dubbio meritevole di essere trattato: “Prescindendo dai motivi personali che mi inducono a cercare di comprendere meglio i problemi del motto e che verranno in luce nel corso di queste ricerche, posso richiamarmi, come di fatto, all’intima connessione di tutto l’accadere psichico, che garantisce ad ogni nuova cognizione psicologica, anche se acquisita in campi assai lontani, un valore per altri campi che non poteva prevedersi. Possiamo anche pensare al fascino particolare che il motto esercita sulla nostra società. Un nuovo motto è quasi un avvenimento di interesse generale e passa da una bocca all’altra come la notizia della più recente vittoria. Persino personaggi importanti, che hanno ritenuto meritevoli di essere conosciute le vicende della loro esistenza, le città e i paesi visitati, gli incontri con le personalità autorevoli, non disdegnano nelle loro autobiografie di riferire questo o quell’eccellente motto che hanno avuto occasione di ascoltare”.

Il motto di spirito ha suscitato sempre scarso interesse sia negli studiosi della psiche, sia negli stessi teorici del comico, ed è anche per questo che Freud se n’è occupato.

Come nasce il motto. Il padre della psicanalisi definisce, tramite numerosissimi esempi, le modalità tramite cui si produce ogni motto, facendo leva sul procedimento della riduzione che consiste nel rintracciare il senso originario della battuta, ciò che essa voleva dire: la sua veste arguta viene dunque isolata e se ne può capire meglio il meccanismo. Nei confronti dei motti di spirito Freud si pone in un atteggiamento molto vicino a quello da lui tenuto nei confronti del sogno; questo punto sarà approfondito più avanti.

Freud afferma che il carattere arguto dei motti va cercato nella loro tecnica e nella loro forma linguistica. La forma del motto, o meglio, la successione delle parole, di solito si basa su questo schema generale: c’è la prima parte del motto che crea l’immagine nell’ascoltatore (immagine A), poi c’è la seconda parte che crea una seconda immagine (immagine B) che si annulla subito, trascinando con sé anche l’immagine A e dando vita all’immagine C che è l’effetto comico. Ecco un esempio preso dall’opera di Freud che ci aiuta a capire molto più facilmente questo discorso: “il tenore di vita dei coniugi tal dei tali è piuttosto elevato. Secondo alcuni il marito deve aver guadagnato molto ed essersi un po’ adagiato (A), secondo altri è invece la moglie che si è un po’ adagiata e così ha guadagnato molto (B)” . In questo motto abbiamo avuto il caso in cui l’immagine A è stata capovolta dall’immagine B e l’effetto comico C è nato proprio da questo[1].

Nell’opera del 1905 vengono analizzati decine di motti e viene fatta una classificazione tra quelli che sfruttano la polisemia del linguaggio. Una prima schematizzazione fa notare che i motti nascono attraverso tre canali in particolare: 1 – Condensazione; 2 – Impiego del medesimo materiale; 3 – Doppio senso.

Un’altra tipologia di motti è quella dei cosiddetti bisticci, che secondo Freud, però, non meritano grande attenzione in quanto facilissimi da produrre (es. “Preferisce usar la pancia che la lancia”). Nel bisticcio, spiega il padre della psicanalisi, “basta che le due parole che esprimono i due significati si richiamano per una qualche somiglianza ma impercettibile: una generica analogia strutturale, una omofonia ritmata, alcune lettere iniziali in comune e così via”.

Gianni Monaco



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