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L’affondo di Selvaggia Lucarelli contro Rolling Stone dopo il manifesto contro Salvini

L'affondo di Selvaggia Lucarelli contro Rolling Stone dopo il manifesto contro Salvini. Ecco cosa ha scritto la Lucarelli


Sta facendo molto discutere il manifesto che la rivista Rolling Stone Italia ha lanciato e ha deciso di condividere nei prossimi numeri in edicola. Un manifesto contro il governo, un manifesto contro Matteo Salvini e il suo modo di fare politica. Le discussioni continuano e, immaginiamo continueranno nelle prossime ore anche dopo l‘affondo di Selvaggia Lucarelli che via social, ha deciso di dire la sua. Come saprete la scrittrice è stata per qualche mese a capo del sito Rolling Stone Italia, una esperienza che sembrava essere destinata a durare, almeno dai primi commenti entusiasti della Lucarelli. E invece a quanto pare, leggendo il suo post di oggi, il lavoro a capo del gruppo dei giornalisti del sito, è stato deludente da ogni punto di vista. Non solo, la Lucarelli fa ben capire che le prediche devono arrivare da chi si può permettere di farle e non da chi non è nella posizione, tradotto con un noto detto della nostra tradizione culturale “da che pulpito viene la predica…“. LEGGI QUI IL MANIFESTO

IL DURO AFFONDO DI SELVAGGIA LUCARELLI CONTRO ROLLING STONE

Ed ecco il lungo post che Selvaggia Lucarelli ha pubblicato qualche ora fa sui social: 

Volevo trattenermi dal commentare ma chi tace è complice, quindi non taccio.
Grande rumore per la coraggiosissima, poppissima, impavidissima copertina di Rolling Stone “Noi non stiamo con Salvini” in cui viene fatto passare per appello un collage di pensieri contro Salvini di vari personaggi tra cui un Mentana che ha già smentito di aver aderito. Anzi, ha detto : vi avevo risposto NO e mi ci avete messo dentro. (e così anche altri firmatari a loro insaputa)
Ma vabbè.
Sono stata tre mesi a Rolling Stone e francamente un appello per una società aperta, libera e moderna me lo sarei aspettato più da Erdogan che dal mondo Rolling Stone Italia.
Il motivo per cui dopo tre mesi ho rassegnato le dimissioni è proprio che di moderno, libero, solidale, lì dentro forse al massimo c’è la macchinetta del caffè che distribuisce caffè a tutti. Non avevo mai visto un ambiente di lavoro così tossico, illiberale, ostile, scorretto.

Amici di Rolling.
Se fate una copertina di sinistra, parlando di libertà, accertatevi di praticare tutto ciò che vi rende così diversi da Salvini.

Nei tre mesi in cui ho provato a lavorare con voi, mi è stato impedito di realizzare un servizio su ticket one e la truffa del secondary ticketing per ragioni di convenienza, mi è stato proibito di far esprimere libere opinioni a giornalisti su dischi, attori e altro per ragioni di denaro o convenienza.
E’ venuto l’inpgi per controllare le posizioni lavorative dei giornalisti e diverse persone sono state fatte scappare giù in strada perchè avevano contratti da lavoratori esterni e erano gentilmente invitate a lavorare IN UFFICIO e da casa anche nel weekend.

Alla mia più diretta collaboratrice, che aveva un contratto da esterna ed era tutti i giorni in ufficio, a un certo punto è stato chiesto di non accompagnare più i figli a scuola e di presentarsi 30 minuti prima degli altri in redazione.
L’editore urla e umilia continuamente i suoi dipendenti, al punto che, per rimanere in tema umanità, c’è più gente che negli ultimi anni è scappata da Rolling Stone che dalla Siria.
E così via.

Io, di fronte a tutta questa mancanza di rispetto della libertà e del LAVORATORE, dopo tre mesi ho rassegnato le dimissioni. E all’editore ho detto e scritto tutto quello che avete letto fin qui. Gli altri sono rimasti lì (alcuni ben sollevati dalla mia fuga), qualcuno che da lì era scappato è pure tornato, ben sapendo chi sia l’editore e le condizioni di lavoro lì dentro.
Ergo, DA VOI la copertina di sinistra proprio no.

Detesto Salvini, ma almeno lui è quello che è, senza doppia morale. E se ne ha una doppia, nel suo caso, quella nascosta non può che essere migliore di quella che mostra.

Nel frattempo continuano ad arrivare smentite da parte di persone che, secondo la rivista, avrebbero firmato il manifesto ma che in realtà non lo hanno fatto, come ad esempio Enrico Mentana. 



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