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Sulla mia pelle il film che racconta la storia di Stefano Cucchi: la recensione

Sulla mia pelle il film che racconta la storia di Stefano Cucchi: la recensione di Ultime Notizie Flash del film di Netflix con Alessandro Borghi


I buoni e i cattivi, il bene e il male, il bianco e nero: pensavamo che in questa storia ci fosse una linea di demarcazione ben netta ma guardando il film Sulla mia pelle abbiamo scoperto che non è così. Stefano Cucchi sulla sua pelle ha pagato i suoi errori del passato, la droga, i piccoli reati che aveva già commesso, la consapevolezza di non essere nel giusto, un presente fatto ancora di menzogne a un padre e una madre che lo amavano, a una sorella che cerca di fidarsi di lui. Stefano Cucchi sulla sua pelle ha pagato l’ipocrisia di  tante persone che avrebbero potuto fare, vedere, agire ma che hanno taciuto sperando che quello che veniva dopo avrebbe fatto di più. Stefano Cucchi sulla sua pelle ha pagato la crudeltà di chi, una notte qualunque, ha contribuito a scrivere una pagina delle più penose del nostro paese. Sulla sua pelle Stefano ha pagato i tempi di una burocrazia sempre più lenta, macchinosa, contorta. Ma se pensavate che il film avrebbe puntato il dito contro i cattivi di questa vicenda, sbagliavate. Non ci sono buoni, non ci sono cattivi, non ci sono eroi. C’è Stefano, un ragazzo che viene divorato da un sistema nel quale è caduto, complice anche il suo passato fatto di droga, di promesse infrante, di bugie raccontate e un presente che non era quello che i suoi credevano. Ci sono i cattivi che non vengono mai chiamati con il loro nome, la giustizia, lentamente, forse, farà il suo corso. Ci sono i finti buoni, quelli che qualcosa avrebbero potuto fare ma che hanno lasciato che Stefano morisse, a oggi, senza un perchè. Ci sono i buoni, i genitori di Stefano che hanno cercato, nel loro piccolo, di fare ancora una volta qualcosa per salvare quel figlio che per oltre 1 anni li aveva fatti disperare. Pensavano che anche questa, sarebbe stata una delle tante volte. Mai avrebbero creduto che dopo un arresto, in una notte qualsiasi, avrebbero rivisto Stefano, 31 anni, in un obitorio, con il volto tumefatto, con il corpo mangiato, e con ancora addosso i segni di quella crudeltà.

Non c’è bianco, non c’è nero ma ci sono tante domande in questo film che ti portano anche a guardare Stefano,interpretato magistralmente da Alessandro Borghi, forse al suo migliore lavoro, e a chiedergli perchè…Perchè quella notte non sei andato al pronto soccorso? Perchè hai avuto paura di dire quello che ti avevano fatto? Perchè ha rifiutato le cure perchè hai cambiato avvocato, perchè non ha denunciato tutto ogni qual volta avresti potuto farlo?

E nonostante Stefano, in questa storia sia palesemente la vittima, si prova rabbia anche contro di lui. Perchè chi ha scelto di raccontare questa storia non ha voluto fare una beatificazione che sarebbe stata anche poco coerente vista la reale storia di Stefano. Ma se ci fermiamo a riflettere fino in fondo ci rendiamo conto che la grande domanda resta un’altra. Perchè ridurre un ragazzo di 30 anni in quelle condizioni picchiandolo selvaggiamente come se fosse il peggiore criminale sulla faccia della terra? 

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Non hanno un volto le persone che hanno colpito Stefano mentre era ancora ammanettato ma di certo una delle scene che non esce dalla testa di chi vede il film è quella di una porta, chiusa. Sappiamo come Stefano è entrato e come è poi uscito. Ma non sappiamo null’altro, non abbiamo visto niente altro. Non abbiamo sentito urla, non abbiamo sentito disperazione. Bastava leggere tutto negli occhi di Alessandro Borghi che è riuscito a raccontare quello che probabilmente Stefano provava. Un climax discendente di emozioni e di sentimenti raccontato e film dalla voce di Alessandro che si  spegne pian piano, come pian piano si stava spegnendo anche il giovane romano.

A volte si ha quasi  la sensazione che Stefano in qualche modo si fosse rassegnato, senza rendersene conto, al suo destino. Come se dovesse pagare per quelle colpe, come se il conto fosse stato portato dopo aver banchettato più volte senza pagare e adesso, era arrivato il momento del saldo. Quell’odio che avrebbe dovuto provare non lo si capisce dalle parole ma dai lividi, da quel viola sul suo volto che diventa sempre più scuro. Si fa sempre più scuro, passando da un responsabile all’altro, come se con il passare delle responsabilità, scaricate da uno sull’altro, il volto di Stefano raccontasse la sua storia. Perchè l’importante non era capire chi era stato ma fare in modo che nessuno dubitasse del proprio operato.

Sulla mia pelle è un film che racconta una storia, dura, nuda e cruda. Niente voyeurismo, niente drammaticità perchè tutto è affidato all’interpretazione di Alessandro Borghi che ci ha “regalato” sembra brutto a dirsi, il miglior Stefano che avremmo potuto vedere e non era facile. I dialoghi scarni, quasi del tutto in dialetto romano, le difficili interazioni di Stefano con “il resto del mondo”. Tradito da tutti: da quelle forze dell’ordine che hanno cambiato la sua vita, da quell’avvocato di famiglia mai arrivato, da quell’amico che ha confessato il falso. E traditore: traditore di un padre che gli aveva dato l’ennesima possibilità, di una madre che lo implorava di stare sulla retta via, di una sorella che ancora una volta lo aveva riabbracciato perdonandolo. Tradito e traditore. 

Tradito soprattutto da un sistema che avrebbe forse, potuto salvargli la vita e che invece, lo ha condannato a morte. 



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