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Egitto, la rabbia dopo il massacro: ma è ancora battaglia nelle strade

Dopo la carneficina di mercoledì, con polizia ed esercito che hanno aperto il fuoco sui manifestanti indifesi, è il giorno della rabbia in Egitto: decine di cortei in tutto il paese sfidanoi militari golpisti. Ma si continua a combattere in strada


E’ il “giorno della collera”, della rabbia in Egitto dopo il massacro di mercoledì: le forze di sicurezza al servizio del governo militare golpista hanno aperto il fuoco sui manifestanti inermi, riuniti in un sit-in di protesta a sostegno del deposto e incarcerato Presidente Morsi nella piazza Rabaa del Cairo, lasciando sul campo centinaia, forse migliaia di morti.I militari hanno fatto le cose per “bene”: la piazza è stata circondata da mezzi pesanti, i palazzi intorno riempiti di cecchini, criminali in borghese al soldo dell’esercito sono stati infiltrati nella folla in fuga per completare l’opera: già nella sera di mercoledì il controllo della piazza era assicurato al governo golpista, ma è stato ugualmente decretato il coprifuoco notturno e lo stato d’emergenza in tutto il paese per un mese. Fonti del governo parlano di circa 300 morti, ma la Fratellanza che sostiene Morsi riporta almeno 2.000 vittime e i racconti dei cronisti presenti sembrano avvalorare queste cifre: le immagini della carneficina compiuta da polizia e esercito raccontano di corpi di uomini e ragazzi straziati, fiumi di sangue sulle pale di legno improvvisate a barelle, sono stati attaccati anche gli ospedali da campo, i cadaveri buttati nella polvere, a donne e bambini feriti è stato impedito di lasciare il sit-in.

Centinaia sono gli arresti perpetrati senza mandato, arrestati altre sette leader della Fratellanza musulmana, molti i raid nelle case alla ricerca degli avversari politici dell’attuale governo golpista, ricercato anche Mohammed Beltagi, segretario del partito Libertà e Giustizia, impegnato nel difendere la legittimità elettorale dell’ex Presidente Morsi, anche se non è un suo sostenitore, e che mercoledì ha perso la figlia Ammar, durante gli scontri con la polizia per lo sgombero della piazza.

La battaglia si è rapidamente allargata anche ad altre zone del paese: scontri e vittime si sono registrati anche a Ismailia, Fayoum, Suez, nel Sinai e nell’Alto Egitto. I Fratelli musulmani hanno provato a reagire con i mezzi a disposizione, è stata attaccata la Biblioteca di Alessandria, diverse chiese copte sono state assaltate e razziate, nonostante la dura condanna dell’Imam della moschea Al Azhar del Cairo, il più importante centro teologico sunnita del paese.

Gli Stati Uniti hanno condannato le violenze, il salomonico Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha invitato le parti alla “moderazione“, ma qualunque intervento ormai sembra tardivo: la carneficina è stata compiuta e il paese è di nuovo sprofondato in una sanguinosa guerra civile di cui al momento non si intravede una soluzione. Il premio Nobel Mohammad El Baradei, si è dimesso dall’incarico di vice Presidente, sconcertato dalla violenza gratuita di esercito e polizia e dicendo apertamente che “c’erano opzioni pacifiche per la soluzione della crisi“. Ha lasciato anche Khaled Daud, leader del Fronte di salvezza nazionale, partito che al momento sotiene ancora il governo golpista.

Nel giorno della rabbia, i Fratelli musulmani parlano di resistenza pacifica fino alla vittoria: ma la vittoria, a qualunque parte arrida, sarà solo il conteggio di morti e feriti, di vite spezzate che lasciano un paese altrettanto spezzato, diviso tra la legalità elettorale e la libertà religiosa. La resistenza pacifica si è tradotta in una serie di cortei in tutto l’Egitto, 28 solo al Cairo, ormai ridotta a città spettrale anche nelle ore lasciate libere dal coprifuoco, ma ogni corteo è stato l’occasione per riaccendere gli scontri, spesso provocati dal lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo da parte dei militari e dai soliti criminali in borghese che si aggirano per la città.

Manifestano insieme alla Fratellanza anche i Tamarod, movimento che fino a un mese fa guidava la protesta anti-Morsi e oggi tenta di difendere quel che resta della legalità in Egitto. La battaglia ormai si è spostata in ogni strada, in ogni piazza dove si crei un assembramento, la tensione è altissima, la polizia sta compiendo anche razzie nelle abitazioni privati e nelle sedi ufficiali dei partiti e movimenti che si oppongono al golpe dell’esercito. E’ stata perquisita anche la sede di Al Jazeera, come ha riferito la stessa emittente.



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