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Il primo caso di Covid-19 in Europa è del 24 gennaio in Germania: 33enne poi guarito

Il primo caso di Covid-19 in Europa è del 24 gennaio in Germania: 33enne poi guarito , parlano i medici

In questi giorni, tra il serio e il faceto, si è molto parlato della zona rossa italiana, di come molti fossero passati, per loro sfortuna, da Codogno. sembrava che la piccola cittadina del lodigiano, fosse il centro di ogni male. Non a caso sui social imperversava anche la battuta sul fatto che il primo cinese non si fosse ammalato in Cina ma in Italia anche perchè, purtroppo, da tutto il mondo si additavano gli italiani come gli untori maledetti. Con il passare dei giorni però si è scoperto che il coronavirus in Italia c’era da tempo. Ne sono convinti i medici che indicano la metà di gennaio come data di inizio del contagio. Il 38enne, ricoverato oggi a Pavia e transitato per l’ospedale di Codogno, viene definito il paziente 1, ma è ormai chiaro che molte persone, si fossero ammalate ancora prima, e che poi il contagio si sia improvvisamente diffuso ( e che i numeri siano aumentati anche per tutti i tamponi che in Italia sono stati fatti per ricostruire le linee di possibili contagi). Oggi però si scopre, che tutto potrebbe essere iniziato, almeno in Europa, dalla Germania.

IL PRIMO CASO DI CORONAVIRUS SEGNALATO IN GERMANIA IL 24 GENNAIO 2020

Un uomo di 33 anni, tedesco, potrebbe essere il primo europeo ad aver contratto l’infezione del nuovo coronavirus e ad averla trasmessa. Lo comunica una lettera di medici tedeschi pubblicata sul New England Journal of Medicine del 5 marzo.

L’uomo ha manifestato sintomi respiratori e febbre alta il 24 gennaio. In questi giorni, i medici italiani, hanno più volte indicato la metà del mese di gennaio come inizio della trasmissione del virus, analizzando anche i numeri, in particolare in quelle che sono poi diventate le zone rosse, di strane polmoniti segnatale in ospedali e da medici di famiglia. Un picco che non si vedeva da tempo ma ancora neppure in Cina si parlava del coronavirus e il collegamento tra le due cose, non è stato immediato.

Tornando alla storia di questo paziente tedesco, che sarebbe quindi il primo ad aver affrontato il virus in Europa, i sintomi sono migliorati e il 27 gennaio è tornato al lavoro. Il 20 e il 21 gennaio aveva partecipato a un meeting in cui era presente una collega di Shanghai, che è rimasta in Germania dal 19 al 22 gennaio senza accusare alcun disturbo. La donna ha però cominciato a stare male durante il volo di ritorno in Cina, dove è stata trovata positiva al virus 2019-nCov il 26 gennaio. Il 27 ha informato i partner tedeschi delle propria positività e in Germania sono iniziati i test sui colleghi che l’avevano incontrata, fra cui l’uomo di 33 anni, che è stato trovato positivo al virus sebbene ormai asintomatico. Questo succedeva, è bene sottolinearlo, quando ancora in Italia non si parlava neppure lontanamente di contagi, di zone rosse, di pazienti di Codogno che “contagiavano” il mondo intero. E anche su questo si dovrebbe riflettere, su come la Germania abbia gestito la situazione senza provocare il panico e senza che le notizie venissero date in pasto ai media. I media tedeschi hanno parlato del caso, ricorderete infatti che proprio in Germania era stata messa in atto una delle prime quarantene. Il tutto però con toni ben diversi da quelli che purtroppo, sono stati usati nel nostro paese.

«È da notare — scrivono gli autori della comunicazione — che l’infezione sembra essere stata trasmessa durante il periodo di incubazione, quando i sintomi erano lievi e non specifici» e aggiungono: «In questo contesto il fatto che il virus sia stato trovato in quantità rilevanti nell’espettorato dell’uomo anche nel suo periodo di convalescenza pone il problema della trasmissibilità del virus anche dopo il termine dei sintomi, sebbene tale carica virale rilevata con il test sia ancora da confermare attraverso una coltura del virus». Emerge quindi, in maniera sempre più evidente, quanto sia necessaria nel caso di questo nuovo coronavirus, la prevenzione. E’ vero che in Italia sono stati fatti moltissimi tamponi anche a chi non aveva febbre o sintomi evidenti, ma il motivo è proprio questo, il fatto che i principali “untori” siano stati pazienti che non hanno avvertito nessun sintomo e che probabilmente sono anche guariti dal coronavirus senza neppure accorgersene. In questa evidenza sta la pericolosità di questo virus.

«Il fatto che la viremia possa essere presente anche dopo la scomparsa dei sintomi era già noto» conferma Walter Ricciardi , rappresentante del Comitato esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e consigliere del ministro Speranza. «e ci deve indurre alla sorveglianza dei pazienti dimessi dopo ospedalizzazione, ai quali è consigliabile fare un tampone anche dopo le dimissioni»

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