Attualità Italiana

Lettera alla Terra, Luca Parmitano stanotte ritornerà dopo sei mesi passati nello spazio

Finisce oggi l'avventura nello spazio di Luca Parmitano. Atterrerà in Kazakistan


Sei mesi nello spazio, lontano da tutti; sei mesi per guardare la Terra nella sua interezza. Un cambio di prospettiva non da poco.
Luca Parmitano, l’astronauta di origine siciliana, che ha preso parte alla Spedizione 37, insieme al collega Karen Nyberg della Nasa e al russo Fyodor Yurchikhin, oggi tornerà sul nostro pianeta.
L’atterraggio è previsto sulla steppa del Kazakistan alle ore 3,50 ore italiane.
Parmitano ha vissuto nella Stazione Spaziale Internazionale per un totale di 166 giorni.
Maggiore dell’Aeronautica Militare, il siciliano conclude così la missione da record dell’Agenzia Spaziale Italiana, il suo impegno nello spazio che lo ha visto anche primo italiano a compiere ben due passeggiate spaziali a luglio scorso.
Ma prima di tornare a terra, Parmitano ha voluto  ha voluto scrivere una lettera dedicata proprio al nostro pianeta. Queste le parole di Parmitano:

I miei occhi accarezzano amorevolmente la sua pelle dalle sconfinate e magnifiche tonalità. Quante volte con lo sguardo ne ho esplorato i confini, di un azzurro indescrivibile, mentre l’alba ne immortalava le curve, delineate perfettamente dalla luminescenza delle nubi mesosferiche, splendide, cangianti: il colore di una pazienza senza tempo e infinita.
Osservo nel silenzio della mia postazione: so che il suo cuore pulsa invisibile, e scorgo la linfa vitale scorrere nelle infinite vene che attraversano le sue terre, alimentate e protette dalle nubi, che la ricoprono come il manto di una vergine vestale.
Il suo respiro ha il ritmo calmo ed eterno delle maree, la grandezza delle onde oceaniche, la potenza dei venti che spazzano in un soffio le sabbie di cento deserti, le cime di mille montagne. Fra poche ore, tutto questo sarà un ricordo. La mia astronave mi attende, per adesso quieta e buia, ma presto teatro dinamico e drammatico del mio rientro a terra. Tutto quel che ha un inizio, deve necessariamente finire: una meravigliosa fragilità che rende ogni esperienza unica, e per questo ancora più preziosa.
Adesso, però, cerco ancora di riempirmi gli occhi, la mente e il cuore di colori, di sfumature, sensazioni. Perché restino con me, che ne possa testimoniare.
Le terre emerse si confondono l’una nell’altra, i confini, arbitrari e immaginari, del tutto inesistenti da qui, mentre le osservo dalla Cupola. Osservo le terre degli uomini. Dalla Terra, guardando verso il cielo e le stelle, ne ho sempre sentito l’attrazione irresistibile, ho incoraggiato la mente a perdersi verso l’infinito e l’ignoto. E’ la nostra natura – il gene di Ulisse. Ma anche Ulisse, dopo tanto viaggiare, torna a Itaca: e a lungo sogna la sua isola. Se fossi nato tra gli spazi dell’impenetrabile nero interstellare, se avessi passato tutta la mia vita viaggiando lontano dal nostro mondo, osserverei con lo stesso sguardo ammirato che ho adesso le sue acque azzurre, i suoi continenti così variegati. Ogni alba e ogni tramonto mi regalerebbero lo stesso stupore atavico. E sognerei di sprofondare i piedi nelle sue sabbie calde, di sentire il gelido abbraccio delle sue nevi, e la carezza salmastra delle brezze che dal mare si spingono verso la terra. Mi chiederei cosa si prova a immergersi nelle sue acque, a scaldarsi al calore del suo sole. Ma sono fortunato: io sono nato lì. Quello è il mio pianeta. Quella è casa mia“.



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