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Rigopiano tre anni dopo, il racconto del cuoco che si è salvato con la famiglia: i bambini temono la neve

Tre anni dopo Rigopiano parla Giampiero Parete: ecco come è cambiata la nostra vita

Quando i vigili del fuoco hanno estratto dalle macerie i primi superstiti della valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano il cuore di tutti gli italiani si è riempito di gioia. Davanti alle immagini arrivate da quei posti, tutti abbiamo fatto il tifo per i soccorritori e pregato per chi viveva ore di grande angoscia. Sotto le macerie quel maledetto giorno di tre anni fa c’era anche un cuoco e c’erano i suoi familiari. E’ stato lui uno dei primi a chiedere aiuto anche se nessuno pensava che fosse vero, che ci fosse bisogno realmente della macchina dei soccorsi. Oggi Giampiero Parete racconta come è cambiata la sua vita , quella di sua moglie e quella dei due figli vivi per miracolo. Certo possono solo essere grati per quello che è stato ma non per questo tutto è più semplice, anzi.

TRE ANNI DOPO RIGOPIANO: IL RACCONTO DELLA FAMIGLIA PARETE

Sopravvivere è un miracolo certo, loro a differenza di altri sono tornati a casa e piano piano potranno voltare pagina, anche se non potranno dimenticare. Intervistato per Il Messaggero, Parete racconta:

Da allora non abbiamo fatto più vacanze. Non ce la sentiamo. Sicuramente non andremo più a fare una settimana bianca […] I miei figli? La neve che prima amavano come tutti i bambini ora non la vogliono più vedere […] Quando ci è capitato di dover andare per qualche giorno fuori città, non in ferie, mi hanno chiesto ‘Papà, ma dobbiamo per forza andare in un albergo?’ ed ancora ‘Papà, ma sei sicuro che sia abbastanza resistente?’”.

Ricominciare a vivere non è semplice:

“Stiamo seguendo delle terapie. Siamo seguiti da uno psicologo […] Ogni mattina svegliandomi penso ai morti e mi chiedo perché siamo stati graziati noi”.

Oggi lui e la sua famiglia sperano ancora nella giustizia, credono che la verità su questa brutta pagina della storia del nostro paese verrà fuori.

Qui la testimonianza di Francesca Bronzi

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