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Dahmer–Monster: The Jeffrey Dahmer Story : il mostro di Milwaukee è su Netflix

Netflix racconta la vera storia di Jeffrey Dahmer il mostro di Milwaukee: la recensione

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Ci vuole fegato nel scegliere di seguire la serie che racconta, per filo e per segno, la storia di Jeffrey Dahmer. Ci vuole stomaco. E non stupisce il fatto che Netflix sia stato anche travolto dalle polemiche per la decisione di raccontare la storia di questo spietato serial Killer. Ma i numeri stanno premiando Netflix: Dahmer è la serie più vista della settimana, è in top 10 in 92 paesi e sta macinando numeri ben più alti di Squid Game, seppur non abbia ricevuto nessuna promozione. Ed è comprensibile il motivo del successo di Dahmer: in questa serie, c’è davvero tutto. Nella vita di questo serial killer che senza pietà ha ucciso decine di ragazzi , per poi cibarsi anche delle loro carini, c’è tutto. C’è la storia di una famiglia disfunzionale, c’è la storia di un paese miope di fronte alle richieste di aiuto, c’è il razzismo, c’è l’omofobia. C’è una America degli anni 80 e 90 , poco attenta alle storie di giovani neri scomparsi nel nulla, di giovani asiatici molestati, di minori violentati. C’è la polizia che non raccoglie le denunce perchè fatte in in quartiere dove vivono persone umili, perchè fatte da una donna di colore. E c’è invece un serial killer bianco, troppo spesso perdonato, nonostante desse da sempre, segnali di uno squilibrio evidente. Non lo hanno fermato i suoi genitori, sua nonna, le maestre, i giudici che ha incontrato sulla sua strada, la polizia. Neppure le denunce di chi ha rischiato di morire. Tutti vedevano ma andavano oltre. In questa seria, non c’è solo la storia di un serial killer cresciuto dal padre in uno scantinato sede dei loro esperimenti per analizzare le carcasse di animali morti. C’è la storia di un sistema che ha fallito: neppure un anno di carcere e la richiesta di un padre disperato che aveva forse, dopo anni aperto gli occhi, sono serviti per trovare il giusto posto nel mondo a Jeffrey. Ha potuto di nuovo agire, colpire, uccidere, massacrare, violentare. Lo ha fatto senza il benchè minimo scrupolo. Dopo aver visto i 10 episodi della serie capiremo che lo scopo ultimo di questo giovane serial killer, non era l’atto, l’omicidio di per se, anzi. Liquidava in modo più veloce possibile, se così possiamo dire la pratica. Perchè voleva altro. Voleva qualcuno con cui “passare del tempo”, qualcuno che non lo avrebbe abbandonato. Tutti quegli abbracci che nessuno gli aveva mai dato, li avrebbe chiesti a loro, le vittime distese su un letto, morte strangolate dopo esser state narcotizzate.

Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story

The Milwaukee Cannibal o The Milwaukee Monster ” questi sono solo alcuni dei soprannomi che nel tempo, Jeffrey Dahmer si è “conquistato” per aver ucciso 17 ragazzi ( sono i numeri degli omicidi che ha confessato, potrebbe averne compiuti anche altri). Nel 1992, Dahmer viene condannato all’ergastolo ma non alla pena di morte, che non è prevista nello stato dove è stato processato ( anche se si era pensato di introdurla proprio per mettere fine alla vita di un simile mostro). Non dovrà però attendere molto il serial killer, prima di lasciare questa terra: sarà infatti ucciso in carcere da un altro detenuto.

Ed è incredibile anche il fatto che in una serie che racconta la storia di ben 17 omicidi, in realtà il solo omicidio che si vede sul finale, è proprio quello di Dahmer, colpito ripetutamente con attrezzi da palestra in un momento di relax in prigione. Si vedono i tranelli, si ascoltano le bugie, è quasi come se si sentisse quella maledetta puzza che la vicina di casa di Jeffrey continua a denunciare. E’ come se quei rumori, arrivassero nelle nostre case: martelli, trapani, coltelli. In un crescendo di tensione emotiva, la serie ci porta quasi nella testa di Jeffrey Dahmer, come se volessimo cercare di comprendere il perchè. Perchè ad esempio uccidere un ragazzo gentile, con il quale aveva iniziato una relazione? E’ la paura costante dell‘abbandono che cambia per sempre la vita di questo serial killer mentre i genitori continuano a darsi delle colpe: saranno state le pillole prese dalla madre durante la gravidanza o i macabri esperimenti che Jeffrey faceva con suo padre squartando in cantina animali morti. In un’epoca in cui si faceva ancora molto poco per i bambini come Jeffrey, costretti a vivere con due genitori completamente inadatti, l’uomo è anche il frutto di una società poco attenta. Nulla che possa giustificare 17 efferati omicidi, il cannibalismo, il fatto che sia arrivato persino a disseppellire un cadavere. Ma questa storia, ha troppe sfumature che forse neppure una sola serie tv può raccontare.

Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story è su Netflix dal 21 settembre e sta mietendo record su record, nonostante le critiche al colosso americano per aver scelto di parlare di una vicenda che a Milwaukee hanno cercato ben presto di dimenticare. Demolendo il palazzo nel quale si sono consumati gli omicidi, smettendo di parlare di questo mostro, liquidando le famiglie delle vittime che si sono battute per avere giustizia. Inascoltate prima, star dopo.

Dicevamo che in questa serie c’è tutto. Una strepitosa interpretazione di Evan Peters. La sua voce, con il perfetto doppiaggio in italiano, ti entra nella testa per non uscire mai più e quegli occhi da ragazzo timido e impacciato, che avrebbe potuto essere qualcosa di diverso se solo qualcuno si fosse accorto di lui, se solo qualcuno lo avesse fermato in tempo, sono una calamita. Non ha l’aspetto di un demone ma dentro di lui c’è satana. Lo ha capito da subito la vicina di casa che disperata, continuerà a chiedere l’aiuto delle forze dell’ordine per mesi, prima di riuscire a ottenere almeno lo sfratto per quell’uomo. Lei sa bene che in quella casa si consumano omicidi violenti. Lo ha capito, convive ogni giorno con la puzza dei corpi in decomposizione, di quell’acido che ormai si è attaccato alle pareti della sua casa. Nessuno però la ascolta e quando questa storia viene allo scoperto, a lavoro si beffano persino di lei. Le colleghe chiedono che sia allontanata, colpevole di piangere spesso mentre è in ufficio. E poi c’è tutta la bravura di Ryan Murphy, una garanzia.

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