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The Wolf of Wall Street: Scorsese chiude un trittico. Di Caprio da Oscar

The Wolf of Wall Street chiude il trittico della decadenza del capitalismo ideato da Scorsese. Uno straordinario Di Caprio, da Oscar, ci accompagna nel viaggio perverso per arrivare nell'inferno di Wall Street


The Wolf of Wall Street non ha deluso le sue aspettative. Affatto. Martin Scorsese ha dimostrato ancora una volta di essere un maestro, flessibile e al passo coi tempi, talmente bravo da farci sentire drogati almeno quanto Jordan Belfort, talmente bravo dal nasconderci il suo progetto, quello di chiudere un trittico iniziato nel 1990 con Goodfellas, continuato nel 1996 con Casinò e terminato, avrete capito, con questa pellicola.

Il tema di questo progetto è il “decadimento del capitalismo”. Un capitalismo sempre più smaterializzato che passa di mano in mano, dagli spietati e freddi mafiosi de Quei bravi ragazzi, ai guardiani della città di cartone di Casinò, sino al paradiso-inferno di Wall Street. Capitalismo e decadimento, un binomio insito nel trittico di Scorsese, un’arrivo alla cima prima della discesa infernale. Un bagno di dollari e un lago di sangue. Se però Goodfellas e Casinò sono chiaramente film drammatici, The Wall of Wall Street ha una natura tutta sua, tanto da avvicinarsi persino alla commedia. Il grottesco la fa da padrone ed il pubblico pagante ne gode. L’ascesa di Jordan Belfort, tra derisione e fascinazione, esalta l’ego dell’uomo arrivista, ne delinea il carattere e le perversioni. Ad aprire le porte della finanza al nostro Belfort-Di Caprio è uno smunto ma straordinario Matthew McConaughey, sciamano tribale della borsa, custode del segreto per diventare milionari e “fregare l’universo”, perché la verità, è che “nessuno sa quando e perché la borsa scenda o salga”. A Wolfie (questo il nomignolo affibbiato al nostro protagonista), inneggiato ed elevato a capo supremo dalla sua malsana cerchia di collaboratori, non basta stare bene, non bastano neppure 50 milioni di dollari l’anno. Vuole di più, sempre di più. E per farlo è pronto a tutto. Le sue degenerate tendenze rappresentano però la spada di damocle che pende sulla sua testa e questo Scorsese ce lo mostra continuamente. Il filo narrativo è costantemente offuscato dalla degenerazione di Jordan e di Danny, il suo fedelissimo braccio destro. Uno straordinario Di Caprio che grazie alla sua temeraria interpretazione riesce a farci amare, o per lo meno, a farci simpatizzare per un truffatore come Belfort, un “Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a stesso”. I movimenti di camera di Scorsese ci accompagnano nello sballo e lo fanno in maniera egregia, addirittura meglio di Terry Gilliam in Paura e delirio a Las Vegas. Il volto di Di Caprio si deforma, si sdoppia. Dal canto suo, l’attore ghigna e si dimena come un forsennato, le sue espressioni assomigliano a quelle di Jack Nicholson in Shining e l’incredibile scena dell’effetto della “Lemon” ci riporta indietro negli anni, alle sue prime interpretazioni. Non vi ha ricordato, almeno per un secondo, il giovane Arnie di Buon compleanno Mr Grape?

Tra disgusto e ammirazione, The Wolf of Wall Street non fa che attirarci ed indignarci. L’ostentazione della ricchezza, tra droga e sesso, delinea il micro-mondo animalesco della finanza. Ed è banale dirlo, ma quello raccontatoci da Scorsese, è proprio il mondo degli squali, quello in cui i pesci piccoli vengono ingoiati senza alcuna pietà. Il filo narrativo di cui parlavamo prima, emerge solo con l’emergere dell’inchiesta dell’Fbi e se torniamo con attenzione sul film, lo scorgiamo, sempre, tra una sniffata e una scopata. Dal principio, quando Belfort afferma l’illegalità del suo affare, alla fine, quando quella illegalità lo porterà alla galera.

L’entusiasmo di Di Caprio e la geniale miscela di generi creata dal regista (drammatico/commedia/grottesco/biopic), sono gli anelli forti di questo capolavoro. Il “sempre-critico” New Yorker scrive:  “Il nuovo film Scorsese, basato sull’autobiografia di Jordan Belfort, un broker che ha fatto una fortuna sulla vendita fraudolenta di titoli dal basso valore e ha speso una fortuna in droga e sesso, è un esuberante inno alla rivolta. È come farsi un’endovena di cinema che dura tre ore. E non vorremmo che durasse un minuto di meno”.

Voto: 8.5



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