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Roma cinesi uccisi: l’ombra della mafia cinese dietro il suicidio

Cinesi uccisi a Roma: l'ombra della mafia cinese dietro al suicidio del maghrebino ricercato per l'omicidio di Zhou Zheng e della figlioletta Joy.


Due giorni fa è stato ritrovato morto, impiccato in un casolare alla periferia di Roma, zona Boccea, uno dei due presunti killer di Zhou Zheng e Joy, i due cinesi, padre e figlia, uccisi a Roma con un colpo di pistola la sera del 5 gennaio, a causa di un tentativo di rapina finito male. Uno dei due presunti assassini, ricercati per via delle impronte digitali che avevano lasciato sulla borsetta contenente i soldi sottratta alla vittima, è stato trovato morto. Si tratterebbe di un maghrebino, di 30 anni. Accanto a lui un cellulare, che adesso la polizia scientifica sta analizzando: potrebbero provenire proprio dall’apparecchio importanti indizi. Il nome dell’uomo trovato impiccato è Mohammed Nasiri, 30 anni, e, secondo gli inquirenti, era  colui che ha premuto il grilletto, forse per errore, della pistola che ha ucciso padre e figlia. Aveva agito insieme a un connazionale sui 20 anni che è ancora super ricercato, ma si pensa che sia già all’esteroSecondo le ultime notizie, l’uomo avrebbe ingerito veleno per topi e si sarebbe impiccato ad un gancio. Nelle sue tasche, come dicevamo prima, c’era un telefono cellulare, probabilmente usato dal fuggiasco per contattare persone a cui chiedere aiuto e per comunicare con il complice. A scoprire il cadavere nel casolare, non ancora ispezionato dai carabinieri nonostante le migliaia di controlli in città, sono stati alcuni ragazzi che in quel luogo stavano giocando a softair. A Torpignattara, nel frattempo, c’è poca voglia di parlare: «Hanno trovato impiccato uno degli assassini di Zhou Zeng e di Joy? Ormai non ci interessa più». Un ragazzo azzarda un’ipotesi:
«Evidentemente qualcuno è arrivato prima della polizia – racconta un ragazzo –. Non credo al suicidio. Perché? Semplicemente non ha senso». «La mafia cinese si è attivata per tempo e ha risolto il problema. Se fossi al posto dell’altro ricercato correrei a costituirmi». Nelle immediate vicinanze di via Casilina, a un soffio dal bar gestito dal cinese brutalmente ammazzato, in molti si ritrovano per scambiare quattro chiacchiere e fumare una sigaretta. «Non poteva finire diversamente – spiega una donna coi capelli neri e gli occhi a mandorla –. Quando vai colpire determinate persone non puoi far altro che scappare e sperare. Non ha fatto bene né l‘una, né l’altra cosa». «Meglio così. A Roma c’è un criminale in meno», dice un signore di mezza età.



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