Attualità Italiana

Giorno della memoria: la strage nazista in Italia

Il prossimo 27 gennaio si commemora il 69° "Giorno della Memoria". Quest'anno, le celebrazioni metteranno in luce la tragedia degli ebrei e le stragi naziste contro i civili in Italia


Anche l’Italia è pronta a ricordare. O meglio, a non dimenticare. Si avvicina il Giorno della Memoria e numerose città si sono mobilitate per commemorare le vittime del nazismo e dell’Olocausto.

Il prossimo 27 gennaio si celebrerà per la 69° volta la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz avvenuta ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel 1945. Furono proprio i sopravvissuti del campo di concentramento a raccontare e testimoniare per la prima volta, l’orrore del genocidio nazista. La giornata è da pochi anni celebrata da tutti gli stati membri dell’Onu in seguito alla risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005. In Italia, la legge n. 211 del 20 luglio 2000, sancisce le celebrazioni nonché le finalità della giornata:  “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.

Le manifestazioni e gli eventi – Il 14 gennaio scorso il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Filippo Patroni Griffi, ha presentato, nella Sala Stampa di Palazzo Chigi, gli eventi previsti per il “Giorno della Memoria” patrocinati dal Comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tra le iniziative, è ormai diventato un appuntamento annuale l’organizzazione, presso la sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di una Tavola Rotonda promossa dalla Comunità ebraica e dalla Presidenza del Consiglio stessa su temi di particolare interesse e di attualità, di cui viene data diffusione sul sito del Governo. Quest’anno le celebrazioni della Shoah metteranno in luce in particolare la tragedia delle deportazioni degli ebrei e le stragi naziste contro civili in Italia. Anche Il Ministero dell’Interno ha organizzato, come di consueto, una mostra itinerante presso la Prefettura di Modena sulla persecuzione degli ebrei in Italia e un corso di formazione nell’ambito delle attività della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, dedicato al “dovere di ricordare”. Sono previste molteplici manifestazioni con testimonianze, giornate di studio per i giovani delle varie realtà scolastiche, tavole rotonde, spettacoli teatrali e di musica classica.

Il tema toccato quest’anno ci riguarda profondamente e noi, per non dimenticare, vi raccontiamo l’inizio di quella triste storia, che descrive l’orrore di migliaia di cittadini italiani.

La deportazione razziale in Italia – dalla voce Deportazione razziale: la persecuzione anti-ebraica in Italia, 1943-1945 di Liliana Picciotto pubblicata in “Dizionario della Resistenza” a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi, Einaudi, Milano 2000, pp.141-147

Nel settembre del 1943, gli Ebrei nell’Italia centro-settentrionale erano ormai circa 33.000 tra cittadini italiani e profughi stranieri. Già da qualche anno la situazione per gli ebrei locali era tragica dal punto di vista materiale e piena di disagio dal punto di vista morale. A partire dal settembre del 1938 infatti, quando da parte del governo fascista erano state emanate le leggi anti-ebraiche, regnava l’insicurezza e l’inquietudine: i bambini e gli adolescenti non avevano la possibilità di frequentare la scuola pubblica, i capofamiglia di prestare la loro opera negli uffici della pubblica amministrazione, nella scuola e nelle università, erano impediti nelle loro attività, che fossero imprenditori o venditori ambulanti. Gli ebrei erano stati radiati dall’esercito, dagli albi professionali, dalle banche, dalle imprese di interesse pubblico. I matrimoni con cattolici erano proibiti. Tutto ciò avveniva nel quadro di una campagna di stampa diffamatoria e umiliante cui davano manforte anche ambienti colti e universitari.

La legislazione anti-ebraica, che non aveva certo molto da invidiare quanto a durezza e puntiglio a quella messa in atto dalla Germania nazista, fu accompagnata da una miriade di piccole ordinanze e circolari amministrative che rese difficile e umiliante anche la vita quotidiana, come quella che proibiva di pubblicare gli annunci funebri sui giornali, conservare il proprio nome nell’elenco telefonici, frequentare luoghi di villeggiatura, lavorare nel mondo dello spettacolo, operare in qualità di ostetrica o infermiera, per non fare che qualche esempio casuale. E, ancora, via dai libri scolastici testi scritti da ebrei, via dalle strade nomi di ebrei illustri, via dalle lapidi di ospedali o asili i nomi di benefattori ebrei. I cittadini ebrei vennero anche accuratamente schedati, registrati, contati, da prefetture, questure, amministrazioni comunali, uffici locali del fascio.

Quanto ai profughi stranieri, furono sottoposti a decreto di espulsione e quando questo si dimostrò impossibile da realizzare per la chiusura delle vie marittime, il 10 giugno del 1940, furono sottomessi a provvedimento di internamento in appositi campi o luoghi di prigionia. Insomma, il quadro fino alla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, era di una pesante persecuzione amministrativa, politica e civile da parte dello stato.

Con l’8 settembre del 1943, l’occupazione tedesca e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), la persecuzione anti-ebraica subì una decisa svolta verso l’assassinio. Le prime violenze anti-ebraiche furono messe in atto sul Lago Maggiore e a Merano a metà settembre, ma la vera e propria estensione, dopo gli altri paesi occupati, della politica della “soluzione finale della questione ebraica” fu praticata a partire dal 26 settembre 1943 a Roma. In tale data, il comandante della Gestapo a Roma Herbert Kappler convocò il presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche, Dante Almansi e il Presidente della Comunità Israelitica di Roma Ugo Foà per comunicare loro l’imposizione di una taglia di 50 chili di oro da versare entro 36 ore, pena la deportazione di 200 membri della comunità stessa. Dopo un’affannosa corsa contro il tempo per raccogliere il prezzo del riscatto, la somma fu consegnata, con la remota speranza per gli ebrei che nulla di peggio sarebbe accaduto loro. Invece, proprio il giorno dopo il pagamento del riscatto, il 29, i tedeschi irruppero nei locali della comunità portando via carte, schedari e denaro contante. Il 13 ottobre successivo furono le due biblioteche, del Collegio rabbinico e della comunità, a ricevere una sgradita visita, culminata nella rapina di preziosi libri antichi. Nell’ambito dello Stato nazista, il compito di affrontare e risolvere la cosiddetta questione ebraica fu affidato, in ogni paese occupato, alla Gestapo (Geheime Staatspolizei-Polizia Segreta di Stato) una delle sezioni dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA), e precisamene al suo Ufficio IVB4, capeggiato da Adolf Eichmann. A Roma però, la polizia tedesca, da subito alle prese con una situazione precaria dal punto di vista dell’ordine, non era pronta a tali compiti. Sicché da Berlino, all’inizio di ottobre, fu mandato in Italia uno speciale piccolo distaccamento di polizia all’ordine di uno specialista in retate di ebrei, Theodor Dannecker. Egli scatenò il 16 ottobre 1943, con il suo distaccamento, coadiuvato da 365 uomini della polizia tedesca a Roma il grande rastrellamento che ebbe nel quartiere ebraico, l’antico ghetto, il suo epicentro. Gli arrestati furono 1.035, dopo il rilascio di alcuni prigionieri (perché non ebrei o perché coniugi o figli di matrimonio misto o perché titolari di nazionalità neutrale), alla fine rimasero nelle sue mani 1.022 ebrei. Il 18 ottobre i prigionieri, stanchi e disperati, furono trasportati su autofurgoni a uno scalo ferroviario secondario di Roma (Stazione Tiburtina) e caricati su di un convoglio formato da 18 carri merci. Per la prima volta, gli ebrei italiani venivano sottoposti al progetto di sterminio comunicato alle alte sfere naziste da Reinhard Heydrich a Gross Wansee (periferia di Berlino) il 20 gennaio 1942 e, dalla primavera precedente, operativo negli altri paesi occidentali. Nell’ottobre del 1943 infatti 56 convogli carichi di ebrei erano già partiti dalla Francia e 13 dal Belgio. La destinazione di tutti era il campo di sterminio di Auschwitz in Alta Slesia (Polonia) dove il regime nazista aveva sistemato impianti per l’assassinio di massa vieppiù sofisticati: a partire dal marzo 1942 erano state messe in funzione le camere a gas sistemate in due vecchie case agricole e dal marzo 1943 i grandi “moderni” edifici, appositamente costruiti che comprendevano sia locali per asfissiare quotidianamente i deportati, sia crematori per bruciarne i corpi.

Ad Auschwitz (sottocampo di Birkenau), la morte a ciclo continuo raggiunse una spaventosa scala industriale: si calcola che tra la primavera del 1942 e la sospensione dell’assassinio nel novembre del 1944, le vittime ebraiche furono circa un milione e centomila.

Gli arresti a Roma continuarono, pur se in maniera meno sistematica e repentina, anche dopo la grande razzia. Il “distaccamento operativo” si spostò verso Firenze, entro la fine di novembre le maggiori città del Nord avevano subito una “judenaktion”. Dannecker organizzò, dopo quello da Roma, altri due trasporti: per il convoglio partito il 9 novembre 1943, gli ebrei rastrellati furono portati dalle locali carceri alle stazioni ferroviarie, rispettivamente di Firenze e di Bologna; per il convoglio partito il 6 dicembre 1943, il carico avvenne a Milano, Verona e Trieste. Per tutto il periodo in cui fu lui a organizzare i carichi, di fatto, le carceri delle grandi città funzionarono come luoghi di transito per i deportandi. Alla fine di dicembre del 1943 egli giunse con i suoi uomini a Verona dove terminò il suo compito di organizzatore esperto della “caccia all’ebreo”. Compito cui fu peraltro nuovamente chiamato di lì a poco, per continuare la sua carriera omicida, in Ungheria.

Quanto alle vicende della neo fondata Repubblica Sociale Italiana tra settembre e dicembre del 1943: Roma fu tolta a Mussolini che l’avrebbe voluta ancora come sua capitale, l’amministrazione fascista fu interamente spostata al nord, sulle rive del lago di Garda, secondo gli ordini impartiti da Hitler al Plenipotenziario del Reich, Rudolf Rahn. La stessa ambasciata tedesca prese stanza al nord nelle vicinanze del governo fascista. Fin dall’inizio fu data pubblicità al progetto di un’ Assemblea Costituente. In realtà, ci si limitò a convocare a Verona per il 14 novembre del 1943 i delegati delle organizzazioni del partito fascista dell’Italia settentrionale chiamati ad approvare un manifesto politico già predisposto. Tale manifesto, detto Carta di Verona, fu fatale per gli ebrei che erano già riusciti a sfuggire ai rastrellamenti degli uomini di Dannecker perché, di fatto, il governo della RSI ne reclamava ora la gestione. Consisteva in 18 punti regolanti materie istituzionali, giuridiche, sociali. Al punto 7 recitava “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Con questa dichiarazione la RSI legittimava sul piano formale la persecuzione anti-ebraica già avviata dai tedeschi, mentre sul piano sostanziale avrebbe, come si vedrà, impegnato la sua polizia a fornire i contingenti per la deportazione. Fu dato immediato seguito al testo ideologico e programmatico della Carta di Verona con l’ordinanza del Capo della polizia n. 5 che disponeva l’arresto e l’internamento di tutti gli ebrei e il sequestro dei loro beni: 1. Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili e immobili, devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti, sinistrati dalle incursioni aeree nemiche. 2. Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero in applicazione delle leggi razziali vigenti il riconoscimento di appartenenza a razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia. 3 . Siano pertanto concentrati gli ebrei in campo di concentramento provinciale, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati”. In virtù di questi gravissimi provvedimenti, tutti gli ebrei in circolazione erano passibili di arresto, questa volta, da parte delle autorità italiane che si assunsero il compito di mettere in atto le azioni preliminari volte a rintracciarli e arrestarli. In effetti nei mesi seguenti, i fermi vennero attuati direttamente dalle questure della RSI, dopo minuziose ricerche domiciliari.

Questa è solo una parte della storia. Una storia identica a quella di moltissima altra gente che ha vissuto sulla loro pelle la violenza e la disumana prevaricazione di una folle ideologia. Una storia da ricordare.



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