Persone Scomparse

Il caso Emanuela Orlandi e la pista che porta allo zio. L’ira di Pietro, le parole di Natalina

Tutta l'indignazione dei familiari di Emanuela Orlandi dopo le indiscrezioni sulla pista che porterebbe allo zio della ragazza

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Nel caso Emanuela Orlandi si torna a parlare della pista che porterebbe allo zio Mario Meneguzzi. La famiglia non ci sta

“E’ stata fatta macelleria con la vita di due persone morte” sono queste le parole dell’avvocatessa Sgrò. Stenta a credere che si possa davvero ripartire da una pista che non porterà a nulla. E sono pieni di stupore, ma anche di rabbia, i fratelli di Emanuela Orlandi che questo pomeriggio, dopo le indiscrezioni sulla pista che porterebbe allo zio della donna, hanno deciso di parlare in una conferenza stampa.

Natalina Orlandi, la sorella di Emanuela, che mai aveva parlato pubblicamente di questa vicenda, lo ha fatto oggi pomeriggio e suo malgrado, ha raccontato quanto successo sul finire degli anni ’70. Bisogna infatti tornare indietro nel 1978. In quell’anno, Emanuela Orlandi era ancora una ragazzina ma sua sorella Natalina aveva 20 anni e lavorava con Meneguzzi. La donna ha spiegato che ricevette delle anvances verbali, poi dei piccoli regali. Natalina mise in chiaro che non c’era nulla da conquistare e il “corteggiamento” di suo zio terminò. La Orlandi ha subito specificato che non c’è stato nessuno stupro. Poi ha aggiunto:

Ne parlai con il mio fidanzato e non con mio padre. Tutto si risolse lì. Della mia vita messa in piazza non interessa nulla, ma la moglie novantenne di mio zio e i suoi figli non ne sapevano niente. Ne avevo parlato solo al confessore. Nel 1983 fui portata dal pm Sica per interrogatorio come se fossi una colpevole reticente. Mi fece ascoltare un’orribile cassetta con la voce Emanuela, dissi che non era la sua. Il pm Sica lo sapeva, il nostro avvocato lo sapeva ma non dicemmo nulla a mio padre per un episodio di cinque anni prima che gli avrebbe solo dato dolore.

emanuela orlandi

Natalina Orlandi: “Siamo persone limpide”

Natalina Orlandi si è detta sicura che siano state fatte delle indagini negli anni e che non è stato trovato nulla:

Siamo persone limpide, all’epoca si trattò di uno scivolone di un uomo 50enne e io all’epoca di anni ne avevo 21. Non c’è nessuna rivelazione, il Vaticano sapeva di questa cosa da sempre. E già nel 2017 vengo contattata dal sostituto della segreteria di Stato Becciu che mi volle ricevere senza mio marito. Dopo un giro di parole per esprimere vicinanza disse che mio fratello insisteva per avere la documentazione su Londra ma che allora avrebbe dovuto tirare fuori anche la parte che mi riguardava. Ma se gliela diamo dovremo divulgarla. Mi sembrò un ricatto. Io dissi che non avevo problemi perché non avevo niente da nascondere. Quei documenti non sono mai stati tirati fuori e chissà cos’altro c’è in quella cassaforte.

L’identikit e la somiglianza con lo zio

Di questa pista si era già parlato in passato, quando un giornalista aveva fatto notare la somiglianza tra lo zio e l’identikit della persona che avrebbe sequestrato Emanuela il giorno della sua scomparsa:

La somiglianza tra mio zio e l’identikit? È ridicolo, zio era a Roma, parlavano tutti di un trentenne e lui aveva più di 50 anni. 

Un estratto dalla conferenza stampa di oggi

L’ira di Pietro Orlandi

Durissime le parole di Pietro Orlandi:

È un tentativo di scaricare ogni responsabilità sulla famiglia, mi chiedo quale sia la novità rispetto ad allora. Né il Vaticano né la procura ci hanno mai convocati. Il segreto doveva restare nel confessionale e invece è stato dato alla Segreteria di Stato e dalla Santa Sede poi alla procura. Ma era tutto noto. E mio zio quel giorno era in vacanza con la famiglia fuori Roma, come già accertato. È giusto che tutto sia indagato ma come lavora la procura? Chi e perché ha tirato fuori questa cosa? Perché Diddi e Lo Voi non parlano per dire qualcosa su questo fatto? Il Vaticano vuole scaricare la responsabilità sulla famiglia. L’avvocato ci fu portato non da mio zio ma dai servizi segreti. È tutto una carognata.

Il fratello di Emanuela Orlandi si aspettava ben altro da questa inchiesta e dalla nuova indagine e spiega:

Quando ho incontrato Diddi ero felice perché finalmente sembrava esserci la volontà per chiarire, ma quando si parlò di Gangi dei servizi segreti capii che già lo avevano sentito: ma è morto ad ottobre e l’indagine è stata aperta ufficialmente a gennaio. Diddi sta lavorando per una verità di comodo. Faccio appello perché la commissione parlamentare vada avanti, perché il Vaticano non la vuole? Perché non può controllarla a differenza di quanto fatto con la procura di Roma.

Una storia che, 40 anni dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, è tutt’altro che chiara.

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