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Emma d’Aquino e il monologo sulla libertà di stampa a Sanremo 2020

Il monologo di Emma d'Aquino a Sanremo 2020 sulla libertà di stampa

Protagoniste della seconda serata del Festival di Sanremo 2020, le due giornaliste del TG 1 Emma d’Aquino e Laura Chimenti, bellissime, e come sempre molto professionali, le due signore del giornalismo, hanno presentato i brani in gara a Sanremo ma non solo. Emma d’Aquino è stata impegnata con un monologo sulla libertà di stampa, certo anche in questo caso, come era successo con Rula, il tutto arriva dopo la mezzanotte, e questo ci dispiace. Ma come si sul dire in questi casi: meglio di niente.

“Il giornalismo rimane una professione pericolosa, nel 2019 sono stati 49 i colleghi uccisi nel mondo, dato più basso dei 16 anni. La media si aggira sugli 80 negli ultimi vent’anni” ha ricordato la giornalista del TG 1 nel suo intervento sul palco di Sanremo 2020. Non si muore nella ricerca della verità solo nei paesi in guerra, ma anche nei paesi che si definiscono in pace, pensiamo a Malta o al Messico.

EMMA D’AQUINO E IL MONOLOGO SULLA LIBERTA’ DI STAMPA

Le parole di Emma d’Aquino

“Pensate che nel 2019 sono stati 49 i colleghi uccisi nel mondo e la cosa incredibile è che è il dato più basso degli ultimi 16 anni. Negli ultimi 20 anni la media è 80 giornalisti uccisi l’anno. Accade nei paesi in guerra, certo, e magari pensate che siano i rischi del mestiere. Sì, è vero ma non solo. Ciò accade anche nei paesi in cui la democrazia è istituita da tempo. Il Messico detiene il record: sono 10 i giornalisti uccisi solo nel 2019. Voglio citare anche malta e la Slovacchia, Daphne Caruana Galizia e Ján Kuciak”

E ancora:

I reporter finiti in carcere sono stati 89 nel 2019. Quasi 400 sono dietro le sbarre per avere tenuto la testa alta, per essersi avvicinati alla verità, per averla soltanto cercata. Una verità tanto scomoda da essere uccisi o ridotti al silenzio in qualunque altro modo. La metà dei giornalisti dietro le sbarre è detenuta in Cina, Egitto, e Arabia Saudita. Ma nei paesi vicini a noi i colleghi turchi e russi non lavorano in ambiente sereno. Poi c’è la graduatoria, la classifica mondiale sulla liberà di stampa: l’Italia si trova al 43esimo posto. L’Iran è al 170esimo. Ciro l’Iran perché mi ha molto colpito, come donna e come professionista, la decisione delle tre giornaliste televisive iraniane di rassegnare le dimissioni dopo, cito testualmente, “anni di bugie di regime”. Mi ha colpito perché forse non avrei avuto lo stesso coraggio, forse. La  pericolosità del lavoro del giornalista è preoccupante. Sono 19 i giornalisti che vivono attualmente sotto scorta in Italia. Poi ci sono quelli colpiti dalle querele bavaglio, querela che cercano di indurre al silenzio in punta di diritto. L’associazione Ossigeno per l’informazione stima che meno del 10% di queste querele intimidatorie hanno avuto un seguito giudiziario. La querela facile serve a zittire il cronista petulante, ostinato nella ricerca della verità.  Serve a non farci conoscere ciò che accade, serve a creare il buio quando a noi piace la luce. Non lasciateci soli perché, per citare Gaber, la libertà è partecipazione. Il diritto alla verità è per tutti.
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