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Crisi economica: il paradosso del benessere

All’inizio di questo secolo viviamo un apparente paradosso: la coincidenza fra il livello più elevato raggiunto dalla modernità industriale, la globalizzazione, e la sua crisi economica. Il motore della modernità industriale, il consumismo, con la trasformazione del consumo in modello culturale ha avuto un’espansione senza precedenti. Dagli anni 80, però, qualcosa cambia: l’Occidente ha raggiunto […]


All’inizio di questo secolo viviamo un apparente paradosso: la coincidenza fra il livello più elevato raggiunto dalla modernità industriale, la globalizzazione, e la sua crisi economica. Il motore della modernità industriale, il consumismo, con la trasformazione del consumo in modello culturale ha avuto un’espansione senza precedenti.

Dagli anni 80, però, qualcosa cambia: l’Occidente ha raggiunto un certo benessere e non è disposto a mettere a rischio la salute per ulteriore ricchezza in termini di beni prodotti. Inoltre si accorge dello scivolare sempre più della propria esperienza di vita, governata dai ritmi del lavoro e dalle metropoli. Eppure secondo l’economia ortodossa ad un aumento dei consumi di beni e servizi corrisponde necessariamente un incremento del benessere del consumatore. Un’ipotesi specifica è stata introdotta per garantire che non vi siano eccezioni a questa regola, la cosiddetta ipotesi di non sazietà del consumatore.

Tuttavia, è sempre più evidente che le economie occidentali presentano, a fianco di un continuo aumento dei consumi, un’altrettanto evidente riduzione del benessere sociale. Come è dunque possibile ciò? Il modello stock e flussi costruito sulle ipotesi di Georgescu-Roegen e che è alla base della bioeconomia consente un’interpretazione di questo paradosso. Un aumento della quantità di beni consumati, e dunque del flusso di beni prodotti, comporta anche una riduzione del benessere sociale in quanto riduce la qualità degli stocks biologici e sociali coinvolti nel processo. La teoria ortodossa, non considerando il ruolo svolto dai sistemi biologici e sociali nel processo di produzione di beni, non è in grado di cogliere le conseguenze di queste trasformazioni strutturali e le relative conseguenze di lungo periodo sul benessere economico e sociale.

Come si calcola il Pil?

In parole semplici, il PIL considera tutti i processi di produzione e consumo, immateriali materiali, descritti come scambi monetari ma non considera la movimentazione delle risorse “gratis” tratte dalla natura e dalla società. Quando qualcuno, ad esempio, inquina e qualcun altro depura le spese per la depurazione fanno aumentare il PIL, ma i danni arrecati dall’inquinamento non vengono conteggiati, il che lo rende un indice fuorviante e incompleto e soprattutto non etico, in quanto il PIL può aumentare anche grazie, ad esempio, alla corsa agli armamenti. Questo dibattito apertosi negli ultimi due decenni tra gli economisti evidenzia l’esistenza di una incommensurabilità tra la misurazione monetaria, che è monodimensionale, ed una pluralità di beni come la salute, la natura, il benessere, il tempo libero, l’uguaglianza sociale, qualitativamente diversi. In ultima analisi, la crescita infinita non esiste e occorre riportare l’economia dall’astrattismo finanziario ai processi prettamente fisici e biologici da cui dipende. Poiché partiamo dal presupposto che ogni territorio è un luogo con caratteristiche e saperi unici racchiusi nel capitale sociale ma non monetizzabili e poiché riteniamo che l’attuale organizzazione economica penalizza il capitale sociale dei contesti piccoli e geograficamente marginali, occorre trovare un’architettura finanziaria che funzioni a livello locale come veicolo di nuovi valori e contestualmente sia il “carburante” degli scambi.

I passi da compiere, dunque, sono:

  • Creare reti di scambio orizzontale, come il baratto e i Farmer Markets;
  • Creare una Moneta Alternativa Complementare (MAC) all’euro;
  • Costruire una modalità di autofinanziamento privo di debito bancario per gli Enti locali e i piccoli Comuni.

Reti di scambio orizzontale e baratto

Sotto questa dicitura si intende riunire tutte le iniziative che introducono equità negli scambi, intesa sia come recupero di un rapporto di “vicinato” insito nei cosiddetti mercatini rionali, sia come scambi di servizi alla pari mediante la moneta locale.

Basta un computer, la pubblicazione di un bollettino informativo su quello che si offre e che si cerca, riunioni periodiche, un certo numero di soci, un conto per ciascun socio in cui indicare il “dare” e l’”avere” e una moneta complementare.

La moneta locale a tempo è uno degli strumenti più potenti per realizzare la crescita di una rete economica autonoma basata su principi altri rispetto a quelli derivanti da un sistema basato sull’accumulazione, risolvendo, inoltre, i problemi di inflazione e sovrapproduzione che oggi flagellano perennemente il sistema economico (la crisi porta a galla una situazione che è sempre presente a livello latente). La moneta locale torna ad essere strumento di scambio e di reale sviluppo grazie a due importanti caratteristiche:

  • non genera interessi
  • non può essere accumulata.

Se in un primo tempo il valore della moneta era legato alla quantità di oro in essa contenuto, con l’avvento della carta-moneta il valore del biglietto fu garantito dalla riserva aurea dello Stato (detenuta dalla propria Banca Centrale), ovvero i biglietti erano convertibili in oro. Poiché il denaro oggi non è più emesso dallo Stato, bensì prestato dalla Banca Centrale allo Stato esso genera interessi, per pagare i quali lo Stato avrà solo due alternative:

la crescita economica (che si presuppone illimitata) oppure altra moneta presa a prestito. Questo spiega il perché della retorica del Pil e della produttività a tutti i costi, oltreché l’altissimo livello di indebitamento di tutti gli Stati.

Ma se entriamo nel merito di queste soluzioni vediamo che esse sono erronee per tre motivi:

  1. dalla bioeconomia sappiamo che non c’è perfetta sostituibilità di capitale finanziario e capitale naturale, quindi esiste un limite fisico alla produzione (accorciato, tra l’altro, dalle sempre maggiori esternalità negative);
  2. gli interessi aumentano in maniera esponenziale, mentre la produzione (e il Pil) in maniera lineare. In termini matematici abbiamo che mentre i primi seguono una legge di progressione geometrica (2,4,8,16,32…), la seconda ne segue una detta di progressione aritmetica (2,4,6,8,10…), quindi non essendoci abbastanza produzione da garantire il rientro degli interessi abbiamo la creazione sia di ulteriore debito che di inflazione; cioè i soldi in circolazione aumentano più in fretta dei beni e dei servizi che si possono comprare e quindi si ha un generale aumento dei prezzi.
  3. infine, lo stesso meccanismo di creazione della moneta è basato sul debito in quanto ogni singolo euro prestato, come abbiamo già detto, è gravato già all’origine di un margine di debito da interesse, quindi il debito è inestinguibile. Se, ad esempio, il tasso d’interesse è del 5%, per 100 euro presi a prestito dovrò restituirne 105 €, ma dove può trovare i 5 euro in più lo Stato se l’unica emettitrice è la Banca Centrale? Può solo chiedere ulteriore prestito gravato di ulteriore debito.

Con quanto detto sinora s’intende dire che:

1) la moneta è basata su debito inestinguibile ed è una truffa per mezzo della quale si sottrae ricchezza al circuito economico;

2) la moneta circola soltanto come convenzione tra gli utenti, non essendo più ancorata all’oro, quindi è possibile sostituirla con un’altra convenzione per i pagamenti dei cittadini

3) la sovranità monetaria sta alla base della democrazia, quindi occorre riprendersela;

4) occorre una moneta legata al valore delle cose per sfuggire alla speculazione, inflazione e finanziarizzazione dell’emissione monetaria.

 

Gianluca Palmara

La prima parte dell’intervento di Gianluca Palmara, Economia alternativa, introduzione a un concetto rivoluzionario è stata pubblicata la scorsa settimana.



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