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Turchia: è guerra aperta fra polizia e manifestanti

Terza notte consecutiva di scontri di piazza in Turchia, la protesta si è allargata anche fuori da Ankara ed Istanbul, il presidente Erdogan chiede di non cedere agli estremismi mentre Amnesty International denuncia gli abusi della polizia


Sono sempre più accesi gli scontri di piazza in Turchia, Istanbul ed Ankara sono oramai in stato d’assedio, con la polizia che continua ad opporsi duramente alle proteste dei manifestanti; quella appena trascorsa è stata infatti la terza notte consecutiva di scontri nelle due città turche, scontri che erano stati innescati dalla protesta contro l’abolizione di un giardino pubblico a Istanbul in occasione della costruzione di un nuovo ponte sul Bosforo, il terzo per l’esattezza; la scintilla s’è poi propagata a più ampie fasce di malcontento in tutto il paese, trasformando la protesta in una contestazione durissima dell’attuale governo turco ed in particolare della leadership del presidente in carica Reccep Tayyip Erdogan, accusato senza mezzi termini dai dimostranti di essere un dittatore. A Istanbul nella notte i manifestanti hanno iniziato fisicamente ad erigere barricate per strada con materiale di fortuna mentre ad Ankara la polizia ha cinturato la zona dell’abitazione del premier, respingendo i manifestanti a colpi di lacrimogeni; gli scontri si sono allargati fino a Smirne, dove sono state lanciate delle molotov contro la sede locale del partito di governo Akp. Dalla sede di piazza Taksim di Amnesty International, in una Istanbul sempre più simile ad un campo di battaglia, arrivano notizie sconfortanti: si parla di almeno un migliaio di feriti, smentendo la versione governativa che ne dichiara circa 170, inoltre vengono denunciati numerosi abusi delle forze di sicurezza sui manifestanti fermati. Il presidente Erdogan intanto continua ad apparire in pubblico cercando di calmare le acque, negando ovviamente di essere un dittatore e pregando i manifestanti di non lasciarsi strumentalizzare da quelli che definisce come estremisti, oltre ad accusare Twitter definendolo uno strumento di menzogne in gran parte responsabili della situazione attuale.



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