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Due geni dell’arte: Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio

Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti sono stati due dei maggiori rappresentanti dell’arte italiana nell’era moderna. Figlio del pittore Giovanni Santi, suo primo maestro, Raffaello Sanzio nacque a Urbino nel 1483. Dai primi modi vicini a quelli di Pietro Perugino, si volse all’esperienza leonardesca. Si recò a Firenze, attratto dalla presenza sua e di Michelangelo. Nel […]

Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti sono stati due dei maggiori rappresentanti dell’arte italiana nell’era moderna. Figlio del pittore Giovanni Santi, suo primo maestro, Raffaello Sanzio nacque a Urbino nel 1483. Dai primi modi vicini a quelli di Pietro Perugino, si volse all’esperienza leonardesca. Si recò a Firenze, attratto dalla presenza sua e di Michelangelo. Nel 1508 si trasferì a Roma, su invito di papa Giulio II e con l’appoggio di Donato Bramante. Vi morì nel 1520.

Stimolato dalla nuova architettura bramantesca, dalla pittura di Michelangelo e dal confronto con le più elevate manifestazioni di arte classica, scaturì la sua maturazione artistica. La sua tecnica di disegno comprende la decisa delimitazione del contorno delle figura non con una linea continua, ma con tanti tratti sovrapposti, arrotondati. Raffaello comprese la necessità di proteggere le antiche architetture, in modo da poterle consegnare alle generazioni future. La lettera a Leone X è alla base della nostra sensibilità rispetto alla tutela degli edifici storici e dei beni culturali in genere.

Michelangelo Buonarroti nacque nel 1475 a Caprese, nell’aretino, dove il padre Ludovico era podestà. A Firenze, dove presto rientrò la famiglia, egli compì i primi studi ma poi andò a bottega da Domenico Ghirlandaio, nonostante la contrarietà del padre. Ma i veri maestri furono Giotto, Masaccio e Donatello, di cui Michelangelo studiò le opere.

Dopo le prime esperienze fiorentine come scultore passò a Roma nel 1496 e di nuovo a Firenze nel 1501. Nel 1505 papa Giulio II lo invitò di nuovo a Roma. Morì nel 1564. Come tutti gli artisti del Rinascimento, l’aretino era convinto che l’arte consisteva nell’imitare la natura: strumento principe della conoscenza era la prospettiva. A Michelangelo non bastava imitare fedelmente la natura: da essa occorreva scegliere le cose migliori, usando anche la fantasia.

Dopo la Riforma protestante e il Sacco di Roma del 1527, Michelangelo divenne più religioso: la bellezza fisica fu considerata secondaria rispetto a quella spirituale. Lo scopo divenne quello di condurre l’uomo alla contemplazione della bellezza divina. L’arte doveva servire la Chiesa e l’artista deve essere pio, se vuole commuovere. Per l’aretino alla base di ogni attività artistica c’era il disegno. Molto importante e famosa una sua teoria sulla scultura: Michelangelo riteneva che il blocco di marmo contenesse già l’idea, allo scultore spettava semplicemente il compito di togliere il superfluo. In questo senso, se la scultura andava per sottrazione, la pittura agiva per aggiunta.

Gianni Monaco



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