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A Tonica Giorgia Soleri: “L’anno in cui ho cominciato a stare male” aveva 16 anni

A Tonica Giorgia Soleri racconta la malattia, il dolore che già a 16 anni è diventato la sua ombra: la vulvodinia

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Andrea Delogu a Tonica dà spazio a Giorgia Soleri per parlare di vulvodinia, per vedere riconosciuti i diritti alle donne che ne soffrono, che convivono come lei con il dolore. La Soleri è giovanissima, ha 26 anni, ma ha già alle spalle anni di sofferenze. Due anni fa la sua malattia ha trovato un nome e quel giorno Giorgia Soleri ha pianto di gioia, perché finalmente sapeva contro cosa lottare. Le hanno detto di tutto, che mentiva, che era pazza, ma quel dolore faceva sempre più parte di lei. La fidanzata di Damiano dei Maneskin rinuncia alla privacy per aiutare le altre donne ma anche se stessa. La vulvodinia è una malattia che colpisce una donna su sette, è invalidante ma se ne parla solo da pochi anni e troppo poco. Giorgia Soleri chiede il riconoscimento sociale, politico, medico ed economico della malattia.

Giorgia Soleri, il dolore ha allontanato tutto e tutti dalla sua vita


“L’anno in cui ho iniziato a stare male è stato quello in cui ho iniziato a lavorare, l’anno del primo tatuaggio, l’anno della scoperta del sesso. Avevo 16 anni. Da allora sono sempre stata accompagnata dal dolore come un’ombra. Ci sono stati giorni in cui mi svegliavo col dolore, mangiavo col dolore, andavo a scuola, quando ci andavo, col dolore, andavo a letto con il dolore e il più delle volte non dormivo per il dolore. E’ stato il mio compagno più devoto, silenzioso ma sempre presente, ossessivo e possessivo, tanto da allontanare tutto e tutti come nella più classica delle relazioni tossiche”. Si è sentita dire di tutto, che era stressata, ansiosa, pazza, bugiarda, che si inventava i sintomi. Passava le nottate cerando di espellere un goccio di urina intriso di sangue che la lacerava fino allo stomaco con le viscere in fiamma, andava a letto disperata, stremata sperando di non svegliarsi al mattino.

“Quella non era vita, non so più nemmeno quante cose ho perso per colpa del mio dolore. Mi hanno vista decine di specialisti, sono stata ricoverata in decine di ospedali, sono svenuta per strada e tutto questo è durato 8 anni, fino a due anni fa”. Poi il dolore non è cessato ma è arrivata la diagnosi, tutto è diventato reale con la possibilità di curarsi.

“Se c’è una cosa che ho imparato in questi 26 anni di vita è che la condivisione è il contrario della solitudine, e che spezzare il silenzio raccontando le nostre storie per rendere coro ciò che era solo una voce è lo strumento più potente e rivoluzionario che abbiamo. così, un anno e mezzo fa ho deciso di mettere la mia, di storia, al servizio di chiunque ne avesse bisogno – me compresa – e nonostante ci sia ancora un grande tabù e venga percepito diversamente dire “mi fa male la vulva” rispetto a un mal di testa o a una gamba rotta, ho scoperto braccia pronte ad accogliermi e voci pronte a raccontarsi”.

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