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La grande bellezza: dai Golden Globes agli Oscar

La grande bellezza di Sorrentino trionfa ai Golden Globes come miglior film straniero. Prima di lui, nel 1990, fu Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore a trionfare e pochi mesi dopo vinse l'Oscar...


Dopo anni di costanti, irritanti e, diciamolo, meritate delusioni, il cinema italiano torna a trionfare. La grande bellezza del regista Paolo Sorrentino conquista il Golden Globe come migliore film straniero.Un premio che non solo rilancia il nostro cinema, ma che proietta il lavoro del regista napoletano sul tetto del mondo cinematografico. I Golden Globes, si sa, sono da sempre considerati il trampolino di lancio per gli Oscar e le nomination sono alle porte. Il 16 gennaio, di fatti, Hollywood sceglierà i suoi candidati e il 2 marzo verranno consegnate le statuette. Il film di Sorrentino, interpretato dall’impeccabile Toni Servillo, riesce nell’impresa di riaccendere le speranze italiane. Un motivo su tutti: l’ultimo vincitore italiano del Golden Globe, come migliore film straniero è stato Giuseppe Tornatore, che vinse nel lontano 1990 con lo splendido Nuovo Cinema Paradiso. Pochi mesi dopo, la pellicola vinse anche l’Oscar. La grande bellezza, lo ricordiamo, si è già aggiudicata i premi come miglior regista e migliore attore protagonista (a Toni Servillo, che nel film interpreta lo scrittore Jep Gambardella) agli Efa, European Film Awards, comunemente conosciuti come gli Oscar europei.

I chiari richiami neorealistici e felliniani de La grande bellezza, forse alle volte troppo marcati, ci riportano inesorabilmente indietro nel tempo, un tempo in cui il nostro cinema era considerato unico ed inimitabile. Le analogie con La dolce vita, con Roma e perché no con , riecheggiano marcatamente, tanto ché Sorrentino sembra volerne imitare non solo il contenuto, ma anche i movimenti di macchina e i virtuosismi registici. La fotografia di Luca Bigazzi rievoca poi l’inconfondibile chiaroscuro postmoderno e barocco tanto caro al cinema neorealistico. Pensare che la critica cinematografica più ardita abbia stroncato l’opera di Sorrentino accusandola di cannibalismo e narrazione “del nulla”, fa sorridere. C’è chi addirittura addita La grande bellezza di cadute rovinose, di rasentare la superficie del superficiale, di rappresentare figurine caricaturali grottesche di una Roma schiacciata dalla velleità della vita per stigmatizzare gli orrori del presente e rievocare gli allori del passato. Sbagliano? Ognuno pone la sua interpretazione, ognuno vede ciò che vuole vedere, ma una cosa è certa: quella canzonatrice borghesia romana che tanto irrita, ma che allo stesso tempo, grottescamente, rivela la natura di un Paese alla deriva, ci rappresenta cinicamente. Aldilà delle vestigia della città eterna, la bellezza è altrove. E se dovessimo vergognarci di noi stessi, perché così siamo, e così siamo stati rappresentati, potremmo forse, il 2 marzo, essere orgogliosi del nostro cinema.



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