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Terremoto Messina ed Enna, avvertite altre scosse: parla l’esperto

Come vi abbiamo scritto qualche minuto fa, questa mattina la Sicilia è stata colpita da alcune scosse di terremoto. In particolare sono state due le province interessate dal sisma: quella di Enna e quella di Messina. Sembra che l’Italia in questi ultimi giorni sia al centro di uno sciame sismico infinito. In questa settimana infatti […]


Come vi abbiamo scritto qualche minuto fa, questa mattina la Sicilia è stata colpita da alcune scosse di terremoto. In particolare sono state due le province interessate dal sisma: quella di Enna e quella di Messina. Sembra che l’Italia in questi ultimi giorni sia al centro di uno sciame sismico infinito. In questa settimana infatti piccole scosse hanno colpito anche zone apparentemente non sismiche. Dal Piemonte alla Valle d’Aosta passando per città come Latina. Ma cosa sta succedeno? Ecco come alcuni menbri dell Ingv spiegano  le scosse che ci sono state questa notte in Sicilia, diamo la parola all’esperto.

Le rocce della crosta terrestre, sottoposte a lenti processi deformativi, si comportano in maniera simile: si piegano lentamente, ma nello stesso tempo anche se all’apparenza sembrano reagire in maniera elastica, cioè senza spezzarsi, si riempiono di piccole crepe e alla fine, dopo una lunga azione deformativa possono arrivare a sbriciolarsi completamente. Questi tipi di processi per la prima volta sono stati applicati in laboratorio a un campione di roccia molto diffuso sull’Etna: un basalto, allo scopo di capire quali possono essere nel breve e nel lungo termine le conseguenze dei processi deformativi cui è sottoposto, su grande scala, l’edificio vulcanico etneo.

Sui risultati di questo singolare esperimento abbiamo interpellato Sergio Vinciguerra, vulcanologo, che assieme ad altri autori, ha di recente pubblicato sulla rivista internazionale “Earth and Planetary Science Letters” un articolo dal titolo: “Brittle creep in basalt and its application to time-dependent volcano deformation.

Dott. Vinciguerra, con quali attrezzature vengono simulate in laboratorio le grandi pressioni che si esercitano sui materiali della crosta terrestre?

Si utilizzano macchinari, come le presse triassiali, che sono in grado di riprodurre il carico litostatico a cui ogni roccia è sottoposta in profondità per via del peso esercitato dalle rocce circostanti e simultaneamente operare sforzi corrispondenti alle forze che si sviluppano per lo scorrimento delle placche nella crosta terrestre. Queste attrezzature consentono anche di iniettare nelle rocce i fluidi che si trovano a profondità e studiarne l’azione di indebolimento sulla resistenza della roccia.

Come si è comportato il basalto da voi analizzato rispetto agli sforzi deformativi applicati?

E’ stato messo in evidenza che il basalto viene indebolito non solo per azione meccanica del carico applicato, ma soprattutto per l’azione dei fluidi, che riempiendo le microfratture e i vacuoli di cui questo tipo di roccia è pervaso, ne promuovono l’espansione e la propagazione. Questo meccanismo fisico è conosciuto come ‘Brittle creep’, cioè scorrimento fragile. E’ un fenomeno che era stato verificato per rocce sedimentarie, che contengono minerali e hanno una composizione tale da reagire con i fluidi, ma che si credeva non potere accadere in rocce cristalline, come un basalto a temperatura ambientale. 

 I tempi, con cui in natura si manifestano le azioni deformative sulle rocce, sono molto lunghi. Qual è, invece, il tempo di azione tipico durante uno dei vostri esperimenti?

 Questo è il punto che conferisce un valore particolare allo studio. Per ragioni pratiche i tempi che si utlizzano in laboratorio sono molto brevi, dell’ordine dei minuti, un paio d’ore al massimo. Questo tipo di approccio permette di capire la ‘dinamica’ della deformazione e rottura, ma ci limita nella comprensione dello sviluppo dei meccanismi deformativi nel tempo. In questo studio invece gli esperimenti sono stati condotti imponendo un carico costante per ore, giorni e perfino diverse settimane, che è la scala dei processi deformativi pre-eruttivi osservati in un vulcano come l’Etna. Si è trovato che pur variando il tempo il campione deve raggiungere uno stato di danneggiamento critico per innescare la rottura, che è costante, indipendentemente dal carico applicato e dal tempo impiegato a raggiungere il carico critico. 

 Che utilità pratica ha conoscere il comportamento di una roccia in seguito alle deformazioni subite?

Le utilità pratiche sono molteplici. In termini di deformazioni della copertura basaltica abbiamo sviluppato una legge macroscopica che stima i tempi di rottura su diversi tempi e per diversi carichi, che ben riproduce  i patterns deformativi osservati sul vulcano per tempi e carichi corrispondenti. Questo permette di modellare e stimare quantitativamente i tempi di rottura in presenza di sovrappressioni, quali tipicamente accadono in un vulcano come l’Etna per la risalita dei magmi e lo scorrimento delle faglie. In termini applicativi, i parametri ottenuti sono utili per stimare la risposta dei materiali cristallini a sovrappressioni. Basti pensare alla geotermia, dove si stimola la produzione tramite idrofratturazione indotta o allo stoccaggio di materiale radioattivo o semplicemente alla stabilità dei versanti o infrastrutture (es. gallerie).

  “I fenomeni di deformazione lenta  – conclude affermando Enzo Boschi, Presidente INGV – sono stati recentemente riconosciuti essere un obiettivo prioritario dall’UNESCO in occasione dell’anno internazionale dedicato al pianeta terra. Sebbene la previsione delle rotture nella crosta terreste non sia possibile, l’allestimento di sistemi di early warnings più attendibili passa attraverso la conoscenza dello sviluppo della deformazione nel tempo.

( intervista a cura di Sonia Topazio)

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